Le idee imprenditoriali ci sono, mancano i capitali di rischio

Si chiamano startup, nuove imprese innovative ad alto contenuto tecnologico, e sono state le protagoniste dei "Venti dell'innovazione" incontri organizzati dalla Camera di Commercio

start up camera di commercio

Dar vita a una startup (nuova impresa ad alto contenuto tecnologico) in Italia non è semplice perché, nonostante ci siano idee brillanti e innovative, mancano quelli che in gergo si chiamano venture capitalist, cioè investitori che credono nell’idea imprenditoriale e per questo disposti a rischiare i propri capitali. Se nel nord Europa e soprattutto negli Usa il venture capitalism ha da sempre generato ricchezza e soprattutto nuovi posti di lavoro, in Italia chi decide di dar vita a una start-up ha come prima preoccupazione la ricerca dei fondi per sostenere l’impresa nei primi anni di vita.

Nonostante i capitali siano immobili, qualcosa anche da noi si sta muovendo, come ha dimostrato l’incontro organizzato alle Ville Ponti dalla Camera di Commercio sul temaL’innovazione diventa impresa”. Se da una parte il decreto sviluppo 2.0 ha posto le basi minime per le startup, dall’altra i numeri presentati da Giacomo Mazzarino, dirigente dell’area semplificazione dell’ente camerale, indicano chiaramente che la strada da percorrere è ancora lunga: in provincia di Varese, infatti, le startup registrate sono 6, in Lombardia 47, in tutta Italia 307. 

Le quattro case history presentate nella giornata dei “Venti dell’innovazione” rimandano un’immagine di grande fermento, vitale e carica di passione. La nuova sfida è stata accettata da giovani imprenditori, molto preparati, capaci di resistere all’ambiguità di un sistema paese non proprio alleato. «È importante dare un percorso alla nascita di nuove imprese, prevedere incentivi fiscali a chi decide di investire. Erano stati anche stanziati 150 milioni di euro di cui si è persa traccia» dice Jonathan Lucio Donadonibus che ha investito nel progetto Lakeside srl, un aggregatore di contenuti relativi alla passione, all’arte e alla musica ideato da tre giovani di Luino. C’è chi, come Mauro Angiolini, ha fatto partire la sua start-up mettendoci i soldi di tasca propria. Inserita nel parco tecnologico di Ivrea, la Eudendron srl opera nel settore farmaceutico, in particolare nella progettazione degli inibitori delle chinasi, proteine che giocano un ruolo importante nello sviluppo del cancro, un campo di ricerca in grande espansione. «Noi passiamo gran parte del nostro tempo – conferma Angiolini – nella ricerca dei fondi. Per il momento ci autofinanziamo».

L’Italia, che un tempo aveva una grande tradizione nel settore farmaceutico, ha perso competitività e il relativo patrimonio di conoscenza. Eppure è in questo settore e in quello delle biotecnologie che le start-up hanno i maggiori margini di sviluppo e probabilità di successo. Alessandro Scozzesi è socio fondatore, socio finanziatore e amministratore delegato della Gexnano srl, start-up inserita nell’Insubrias BioPark di Gerenzano, specializzata in sistemi diagnostici basati su nanotecnologie. «Attualmente abbiamo 4 domande di brevetto – spiega Scozzesi – operiamo nel campo delle malattie degenerative, delle biotecnologie e in ginecologia. In una start-up c’è molta flessibilità e tanta incoscienza. Ma noi siamo fiduciosi di natura».

C’è sempre l’eccezione che conferma la regola. Per dar vita a una startup non bisogna essere per forza giovani e soprattutto non è detto che i settori debbano essere per forza nuovi, come dimostra l’esperienza del settantenne Mario Borri. La sua NTT srl ha infatti innovato in un settore tradizionale (tessile), sviluppando tecnologie ecosostenibili in una lavorazione altamente inquinante e energivora come quella della spalmatura dei tessuti. «Al posto dei solventi tossici, abbiamo sviluppato nuove tecnologie relative alle resine dei componenti – racconta Borri -. Bisogna evitare di delocalizzare in settori che danno fastidio e cambiare impostazione. Oggi tendiamo a dare ai giovani l’idea di un paese in declino, mentre si puo’ essere innovativi in settori tradizionali e rilanciare così le attività già esistenti».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 21 Marzo 2013
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