Il tessile non è solo brand e prezzo

Gli imprenditori dei gruppi merceologici della filiera tessile e del settore dell’alimentazione e bevande di Univa credono nei "veicoli" dell'internazionalizzazione

In alcuni paesi come Cina, Russia e Brasile bisogna esserci, soprattutto se l’economia del Vecchio Continente non cresce. I dati resi noti durante l’assemblea dei gruppi merceologici della filiera tessile e del settore dell’alimentazione e bevande di Univa parlano chiaro: l’export del tessile-abbigliamento varesino lo scorso anno è calato del 4,9% con l’unica eccezione del comparto pelletteria che ha fatto registrare un balzo dell’export pari al 36,5%.

La crisi ha toccato anche il settore alimentare, anticiclico per eccellenza, come spiega il presidente del gruppo merceologico Angela Ribolzi. «È stato un anno difficile – dice l’imprenditrice – con un calo dei consumi alimentari che oscilla tra il 5 e 6 per cento. Una novità per un settore che non segue le dinamiche degli altri. Se si osservano i carrelli della spesa, si nota che sono meno carichi e soprattutto che sono aumentati i consumi di prodotti base, come ad esempio la farina, rispetto ai prodotti già lavorati. Per le imprese internazionalizzarsi, che non vuol dire delocalizzare, è un’opportunità soprattutto quando hai un sistema associativo come Univa che ti dà un supporto in ogni passaggio e organizza missioni mirate nei nuovi mercati, so che a breve ne farà una in Cina. Insomma, per noi imprenditori è una bella boccata di ossigeno».

Remo Mazzetti, presidente del gruppo maglie, abbigliamento e calzature, si è identificato molto con l’identikit tracciato dalla ricerca del Centro studi di Confindustria sull’export del made in Italy. «I veicoli per internazionalizzazione di cui ha parlato la ricercatrice Manuela Marianera – sottolinea Mazzetti – funzionano, soprattutto se hai una piccola azienda come la mia, di soli 10 dipendenti. Per noi le fiere sono un momento importante per vendere i prodotti, prendere contatti e capire cosa fanno gli altri. Ritengo inoltre affascinante e anche molto concreto il contributo che puo’ dare la cultura italiana alla diffusione dei nostri prodotti. Il cinema e soprattutto il turismo sono elementi trasversali che se presi in considerazione possono aiutarci molto».
Quando si parla del tessile in provincia di Varese, da almeno vent’anni, si associa in automatico la parola crisi, mentre ci si trova di fronte a un cambiamento strutturale del settore. «È indubbio che la filiera in questi anni ha subito contraccolpi con numeri importanti – conclude Mazzetti -. La rete però, e mi riferisco a internet, ci ha aiutato molto a riorganizzarla e a uscire da una condizione un po’ minimalista per affacciarci su mercati interessanti come quello russo e cinese».

C’è chi nella filiera del tessile si inserisce «a pettine», cioè in più fasi della lavorazione, esclusa quella della confezione. Una flessibilità che un tempo, quando il settore era florido, rappresentava un vantaggio. «Per noi internazionalizzare è un po’ difficile – spiega Piero Sandroni presidente del gruppo tintorie, stamperie e finissaggio tessile – perché abbiamo costi fissi troppo alti, questo significa che sopra il break eaven (punto di pareggio ndr) abbiamo grossi guadagni, al di sotto, grosse perdite. C’è un aspetto però che mi preme sottolineare: il consumatore finale del prodotto tessile non si rende conto di quante grandi innovazioni vengono fatte nella nobilitazione delle fibre e dei tessuti. È un campo di ricerca sterminato che però non siamo riusciti a comunicare, gli unici messaggi che sono passati sono stati il brand e il prezzo. Inoltre, l’operazione più subdola fatta nei confronti degli imprenditori italiani è averli trascinati proprio sul piano del prezzo e non sulle caratteristiche di fibre e tessuti».
Sandroni introduce il tema della qualità che è legato soprattutto alla ricerca. «In provincia di Varese – continua l’imprenditore – abbiamo il Centrocot che è uno straordinario laboratorio di ricerca. Basti pensare che ha al suo attivo 450 prove di laboratorio accreditate in Italia, il secondo ne ha solo 90. Per crescere bisogna credere nella ricerca, facendo sinergia tra i vari centri, come accade in Francia».

Anche Giovanni Salvati, presidente del gruppo filature e tessiture, è convinto che la via da seguire sia la ricerca della qualità migliore. «Ai clienti bisogna dare buoni prodotti – dice l’imprenditore-. Oggi in azienda ci sono i miei figli, è la terza generazione, hanno studiato alla Liuc e quindi sono molto sensibili ai temi relativi  all’internazionalizzazione e all’export, sapendo però che il punto di partenza è sempre la qualità del prodotto che proponi. E per avere un buon prodotto devi avere dei buoni fornitori di filati che devi cercare nel posto giusto. Purtroppo però quando la filiera ha molti buchi a volte sei costretto a subire una violenza sul prezzo».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Aprile 2013
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