Ray Manzarek: la musica è finita
E’ morto all’età di 74 anni il pianista dei Doors. Con lui si chiude un’epoca di grande creatività
“The Music’s over”. Tutto finisce, prima o poi. Anche l’intro di Ray Manzarek – morto il 20 maggio, in Germania, per un cancro al dotto biliare – in “Light my fire”. Poche battute iniziali per una musica che rappresenta il big-bang di un nuovo mondo in una società americana “disturbata” da un gruppo di giovincelli che studiano cinema, citano Godard, si fanno di acido e peyote. E scombussolano la gioventù pronta alla combustione della psichedelia. Manzarek il saggio, il programmatore, l’interprete che costruisce all’indietro e che trasforma la successione degli accordi in armonia. Era questo Manzarek: un organista che separa, nel suo cervello, la mano sinistra (il basso dei Doors, senza dover ricorrere ad alcun bassista) da quella destra (il jazz, il blues, l’avant-garde, la musica contemporanea mischiata di free) per farsi interprete di un impasto sonoro che rimarrà unico, ineguale ma riconoscibile, perfetto. Ambizioso. Manzarek uomo di equilibri, che governa la verve ieratica di Robby Krieger alla chitarra, che sostiene la teatralità ribelle e dispotica di Jim Morrison, che gioca sui ritmi latini di John Densmore, batterista dei Doors. Le porte della percezione si sono aperte, e al di là ci accoglie l’ignoto e l’indefinito. Quello di un organo bizzarro che si fa rasoio, di una tastiera campionata rauca che striscia tra le falde della poesia e che risorge, di volta in volta, dal silenzio costruito. La pausa, il ritrarsi, il nascondersi per poi risollevarsi negli assoli ironici e caustici, dove la combinazione tra melodia e sincope dirompe incessantemente. Eppure, Manzarek, è musicista galante e raffinato. Genio della simmetria sempre spostato in un’altra dimensione che gli permette di presagire ciò che gli altri Doors ancora non vedono. La costruzione di canzoni singolari, al di fuori dal tempo e proprio per questo sempre attuali, la si deve anche a lui. Riders on the storm, L.A. Woman, Strange Days ma anche Yes, the river knows e Hello I love you, nulla sarebbero senza quel tocco fragile, quasi indifeso nel suo continuare solleticare, che si riempie di coraggio e onde riverberanti sulle nuove generazioni.
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