Monitoraggio delle “zone umide” del Parco Pineta

Al via il programma di analisi pluriennale degli impianti di fitodepurazione e degli ecosistemi acquatici umide presenti nell’area verde protetta

Gli ambienti umidi rappresentano uno dei tasselli più fragili dell’ecosistema; il loro ruolo di depuratori naturali delle acque li rende ancor più vulnerabili all’influenza dell’uomo e dei suoi insediamenti. In tale contesto si colloca l’attività di monitoraggio ambientale, finanziata da Fondazione Cariplo, promossa dal Parco Pineta di Appiano Gentile e Tradate, conclusasi lo scorso anno.

 

Il progetto, con la supervisione scientifica dell’unità di ricerca dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca (UNIMIB) coordinata dalla dottoressa Valeria Mezzanotte, si è proposto di valutare da un lato l’efficacia degli interventi attuati dal Parco (stagni artificiali e impianti di fitodepurazione) e dall’altro di comprendere appieno le dinamiche ecologiche e le alterazioni presenti. Le metodologie adottate variano dal campionamento di specie zoologiche presenti all’analisi della qualità delle acque. I principali oggetti di studio, condotto dalla dott.ssa Laura Sartori, sono stati certamente i 3 impianti di fitodepurazione presenti nel Parco; all’ormai ben rodato impianto in località Pianbosco (Venegono Inferiore), oggetto del monitoraggio più duraturo, si sono aggiunti l’impianto di affinamento di Castelnuovo Bozzente nonché, il più grande di tutti, l’impianto di affinamento di recente realizzazione nel territorio di Limido Comasco. I risultati ottenuti evidenziano come tali sistemi dimostrino buone capacità di abbattimento del carico inquinante, permettendo così di mitigare le criticità derivanti dalla presenza di reflui non trattati o di fornire un indispensabile supporto a strutture di depurazione tradizionale. È stato possibile verificare, inoltre, che in un territorio caratterizzato da scarsità di risorsa idrica, l’inserimento di ecosistemi acquatici crea una risorsa ecologica rilevante non solo per la fauna macroinvertebrata e anfibia, ma anche per comunità di vertebrati superiori.

 

Il monitoraggio svolto si è focalizzato inoltre su un set di 24 aree umide seminaturali e artificiali distribuite all’interno del territorio. Tale intervento rappresenta un’analisi della validità degli interventi realizzati dallo stesso Parco negli ultimi anni; al fine di contrastare la graduale scomparsa di molti dei luoghi idonei alla riproduzione degli anfibi, l’Area Protetta ha realizzato alcuni stagni artificiali in differenti località. Tramite le attività di campo e le analisi di laboratorio è stato possibile definire le variabili ambientali che caratterizzano ogni ecosistema, valutandone anche l’importanza in relazione alla biodiversità correlata giungendo alla sorprendente conclusione che “non ci sono differenze significative tra stagni artificiali e naturali”. Ma non è tutto oro ciò che luccica; a positive conferme come l’indispensabile contributo alla biodiversità svolto dalle Aree umide realizzate (soprattutto se integrate ad impianti di fitodepurazione), seguono spiacevoli dimostrazioni come l’enorme danno arrecato alle comunità acquatiche da parte delle specie esotiche, tra cui la ben conosciuta tartaruga dalle orecchie rosse, spesso abbandonate da qualche cittadino ignaro delle conseguenza del suo gesto irrispettoso.

 

«Ciò che accomuna la realizzazione dei più disparati interventi è certamente il rischio di non saggiarne la validità. E’ indispensabile verificare se quanto compiuto ha raggiunto i risultati sperati. – dichiara Mario Clerici, Presidente del Parco Pineta – Per questo motivo ritengo una delle principali valenze del progetto, la possibilità di disporre di dati utili per la progettazione, la gestione e l’inserimento di aree umide nel territorio».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 04 Febbraio 2014
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