Ai giapponesi non piace solo la moda italiana

Masanaka Yokota, ceo di Jmac Europe, è intervenuto all'incontro annuale del Lean club dell'università Liuc

Liuc Lean club

Per Masanaka Yokota, ceo di Jmac Europe, ciò che caratterizza le aziende giapponesi è la capacità di continuare a far crescere le persone collegando ciò che è visibile fuori dell’azienda, cioè il prodotto, con ciò che sta dentro, il processo produttivo. «Bisogna collegare l’implicito all’esplicito. Ciò che si vede ma soprattutto ciò che non si vede e saperlo comunicare».  Secondo  il manager giapponese, intervenuto all’incontro annuale del Lean club dell’università Liuc di Castellanza, il lavoro migliora quando ci si concentra sul contributo dell’uomo per farlo diventare consapevole del suo «movimento produttivo».

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I vertici della Toyota avevano capito l’importanza di questo passaggio fin dal primo viaggio negli Stati Uniti per visitare la Ford. Era l’inizio degli anni ’50 e la fabbrica di Detroit produceva già 8.000 auto al mese, contro le 40 della casa automobilistica giapponese. All’epoca non c’erano i soldi per fare gli investimenti necessari, ma la Toyota aveva le persone adatte per diversificare la propria produzione di auto. Si poteva, dunque, produrre meglio e di più con meno risorse. È su questi presupposti che è nato il metodo Tps (Toyota Production System) che ha anticipato i temi della Lean production, ovvero la produzione snella. «Il mandato della Toyota era ed è chiaro: diversificare in modo efficiente la produzione rispetto al proprio obbiettivo – spiega Yokota  -. Per farlo bisogna essere flessibili e rendere indipendenti le persone che lavorano riconoscendo le attività che svolgono. Per creare un lavoro a valore aggiunto ci deve essere sempre l’uomo».

Questi concetti non hanno bisogno di un ecosistema culturale orientale per essere applicati, come dimostrano i poster degli anni ’20  eseguiti in litografia da un gruppo di artisti americani  (Willard F. Elmes, Hal Depuy, Frank Beatty, Robert Beebe e Henri Lee jr) ed esposti alla Liuc che esprimono slogan molto vicini alla Lean production. «Chi dice che non si può fare?  C’è chi fa le cose e chi invece dice che è impossibile farle. Tu provaci» recita uno di questi. «Visualizzare – sotolinea Claudio Carbonaro docente della Liuc – aiuta a ricordare i punti fondamentali di questa filosofia. Non dimentichiamo che i giapponesi per spiegarli usano i manga (fumetti, ndr), un metodo molto funzionale».

«Lo strumento non va confuso con il pensiero – aggiunge il ceo di Jmac Europe – perché c’è grande differenza tra metodo e strumento, altrimenti il rischio è di offuscare l’obiettivo. Normalmente abbiamo consapevolezza del metodo lean e dello spreco, ma non dello spazio di collegamento tra i due ed è proprio qui che la comunicazione fa la differenza».

Oggi la Toyota, dopo aver investito molto all’estero, ha fissato nuovi investimenti e obiettivi interni per mantenere il lavoro legato alla produzione di valore, sostenendo molti di questi miglioramenti anche presso i fornitori stranieri, tra cui ci sono molte aziende italiane. «Dall’Italia il Giappone compra molta meccanica e farmaceutica – conclude Yokota -. Non solo moda, come comunemente si pensa».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 27 Ottobre 2015
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