L’informazione che non tace, anche a rischio della vita

Un gruppo di giornalisti ha deciso di raccontare le tristi vicissitudini di violenza che hanno dovuto subire e le loro toccanti azioni di coraggio informativo in "Io non taccio", Edizioni Cento Autori

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Franz Foti*

Un gruppo di giornalisti, cittadini guerrieri, nelle loro diverse realtà socio ambientali, hanno deciso di raccontare le tristi vicissitudini di violenza che hanno dovuto subire e le loro toccanti azioni di coraggio informativo che in più occasioni hanno esposto a pericolo la loro vita e quella dei familiari. Lo hanno fatto senza enfasi e senza spirito da “eroi per caso”. Determinati a scoprire e denunciare ciò che non riesce più a rendere normale la vita di tantissimi cittadini, offrendo una direttrice di marcia per ridare valore e senso alla nostra quotidianità. Combattere e interrompere la corsa violenta verso la subordinazione civile e culturale alle mafie è l’impegno umano e narrativo che si sono dati gli autori: Federica Angeli, Giuseppe Baldessarro, Paolo Borrometi, Arnaldo Capezzuto, Ester Catano, Marilù Mastrogiovanni, David Oddone e Roberta Polese (Io non taccio, Edizioni Cento Autori).

Con Ester Castano si narrano le vicende del primo scioglimento di un consiglio comunale in Lombardia per infiltrazione mafiosa. Era il 15 ottobre del 2013. Il comune era Sedriano, lontano dall’Aspromonte. In manette finiscono tre personaggi, sindaco, un imprenditore cosentino dell’oro e un chirurgo-imprenditore. C’era di mezzo anche uno strano maresciallo. Minacce di morte, proiettili in busta chiusa, ma alla fine, l’11 febbraio del 2015, piovono le condanne. Ma non tutti i giornalisti vengono minacciati di morte. Don Mico, mafioso vecchio stampo, di Reggio Calabria, racconta a Giuseppe Baldessarro che, a differenza di Cosa nostra, la ‘Ndrangheta non uccide i giornalisti: “I giornalisti non si ammazzano, non conviene, dopo ne arrivano altri cento ed è finita la pace, I giornalisti li puoi comprare, gli fai avere un incarico da qualche parte, …. gli aggiusti qualcosa…. E se non ti puoi comprare il giornalista ne avvicini un altro che nel giornale conta e i pezzi finiscono dove non li vede nessuno”. Se i mafiosi non possono comprare il giornalista seguono altre strade: la querela con richiesta stratosferica di risarcimento. È così che “i boss con la penna” tentano d’imbavagliare la stampa. E la minaccia “Andare oltre significa morte” si tramuta in un’altra cosa.

Poi ci sono “gli intoccabili” che Roberta Polese descrive con molti dettagli. Sono i politici. Lei incappò in una brutta vicenda che coinvolgeva Maria Elisabetta Casellati, dell’allora Pdl e sottosegretario più volte del governo Berlusconi. Fu denunciata per diffamazione aggravata. Aveva tirato fuori presunte irregolarità nella scelta dell’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto. Le furono richiesti 250mila euro di risarcimento per aver sporcato l’immagine della parlamentare. Una sorta di parentopoli. Il 29 maggio 2013 il gup del tribunale di Padova dichiara il “non luogo a procedere”. L’incubo finisce potendo dire al proprio genitore in punto di morte: “Papà ho vinto”.

Un capitolo del libro è dedicato ai macabri racconti di morte di David Oddone che riguardano i nidi di aziende fantasma, i loro gusci vuoti dove non lavora nessuno e dove impera la frode fiscale. Questa volta l’alt è una minaccia di morte: “Chi scrive di tangenti muore”. Siamo nel sammarinese alle prese con l’inchiesta del Monte Titano e con il conto “Mazzini”. Riciclaggio, mafie, finanziamenti illeciti ai partiti si rincorrono e s’intrecciano. Ora qualcosa è cambiato. E Oddone alla fine avverte: “Non perdere tempo con le cose impossibili, ma con quelle difficili sì. Ci sarà sempre qualcuno che si arrenderà prima, voi non fatelo”.

In questo volume si entra anche, con la vita blindata di Federica Angeli, nel labirinto criminale di Ostia, alle prese con il clan della famiglia Spada. Ci sono di mezzo agguati mortali, tentati omicidi, intrecci della criminalità con associazioni e politica. I seri pericoli di vita per Federica non hanno mai fermato un solo istante la sua caparbietà. Vinse la sua battaglia di verità fatta d’indagini, di fatti concreti e di testimonianze. Tutto incominciò con un’inchiesta e con un urlo nel cuore della notte. E dalla voglia di dire basta al sopruso e alla violenza .

Arnaldo Capezzuto ci introduce nel clan Giuliano, boss della camorra, che per bloccare i suoi pezzi andava giù pesante: “Stai attento, molto attento. Quando vieni a Forcella non sei invisibile. A Napoli le disgrazie prima o poi succedono all’improvviso”. Tutto comincia con una sparatoria. Un camorristico regolamento dei conti. Capezzuto indaga e parte la minaccia telefonica in redazione: “Capezzuto s’adda fa i cazzi suoi o sino sparammo”. Il racconto sembra una perfetta fiction televisiva, ma i risvolti finali sono veri: condanna per Luigi Giuliano. Capezzuto vince la sua battaglia e gli viene assegnato il Premio Giuntella per l’impegno contro la camorra e per la libertà di stampa.

Ora si passa nella Piazza principale di Casarano, nel Salento. A raccontare la sua incredibile storia di minacce è Marilù Mastrogiovanni. “Ma cci tte pensi ca sta faci? Nu ppoi fare cusì! Ttocca lla spicci, à capitu? Comincia così la sua paura: “Ma che cosa credi di fare? Non puoi fare così! Devi finirla, hai capito”. Qui s’intrecciano storie di rifiuti, querele, ecomostri, intrighi politici, bombe intimidatorie. Ma lei, Marilù Mastrogiovanni, rimane rigida sul suo tronco etico e professionale. No ha paura. “La paura è una vertigine che dura il tempo di abbassare le mani che per un attimo rimangono sospese sulla tastiera, io scelgo, le mani s’abbassano, scrivo, e resto”. Nella sua Puglia.

I racconti di Io non taccio si chiudono con Paolo Borrometi, nel quadrilatero del barocco ragusano. Paolo viene aggredito e pestato selvaggiamente da pochi mafiosi e ricoverato in ospedale. Era colpevole di aver scritto sulla morte di Ivan Inglese, ucciso a trentadue anni a Vittoria, con retroscena inquietanti. Quando riprese i sensi si ricordò della frase minacciosa: “T’affari i cazzi tuoi. U capisti?”. Poi una scritta “Stai attento” . Cercarono di dargli fuoco, in casa. Gli assegnarono una scorta. E poi l’ultima minaccia: “Borrometi picca n’hai” (Borrometi ne hai ancora per poco). Anche Paolo vince la sua battaglia di libertà con coraggio e conclude la sua storia così: “Alla fine una penna vale più di una pistola”.

 

*L’autore è Docente di giornalismo e comunicazione,
Università statale dell’Insubria di Varese

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Pubblicato il 15 Dicembre 2015
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