Biggiogero, a giugno l’appello

Il varesino condannato in primo grado per l’omicidio del padre. Il difensore: “Ci batteremo per la quantificazione della pena“

Alberto Biggiogero in tribunale (il testimone del caso Uva) (inserita in galleria)

Si celebrerà il 19 giugno dinanzi la prima sezione della Corte d’Appello di Milano il processo di secondo grado che vede imputato Alberto Biggiogero, condannato a 14 anni di reclusione per l’omicidio del padre, avvenuto nel febbraio del 2017.

La condanna arrivò alla fine del maggio scorso dopo un processo con rito abbreviato nel quale il pubblico ministero Flavio Ricci chiese la condanna a 16 anni di reclusione, condanna poi accorciata di due anni dal giudice dell’udienza preliminare Alessandro Chionna.

L’accusa era di omicidio volontario pluriaggravato: il 15 febbraio 2017 con tre coltellate al petto Alberto Biggiogero uccise il padre Ferruccio nella sua casa di via dei Mille a Varese.

Portato in caserma confessò e la difesa scelse la strada del rito abbreviato: niente dibattimento, processo nella fase preliminare e a porte chiuse, in camera di consiglio, anche per evitare una comprensibile esposizione mediatica per una delle figure chiave del « caso Uva».

Proprio per la confessione di Biggiogero, la difesa in appello non partirà, nella sua strategia di fronte ai giudici milanesi, da una assenza di responsabilità dell’imputato, ma piuttosto da termini quantitativi della pena.

Lo ha confermato lo stesso Stefano Bruno, difensore di Biggiogero: «La strada che seguiremo in appello è mirata alla diversa quantificazione della pena», spiega Bruno. «Per arrivare a questo obiettivo disquisirò  sulla inussistenza delle circostanze aggravanti».

«Non è naturalmente in discussione la responsabilità», conclude il difensore «bensì l’entità della pena».

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Pubblicato il 17 Aprile 2019
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