“E se imparassimo a convivere con il virus?”

Questa non è una guerra contro un nemico invisibile (i virus fanno solo ciò che fanno tutti gli esseri dotati di DNA, replicarsi per sopravvivere), questa è una battaglia per convivere con un nuovo ospite limitando i contatti con esso

Pieni i treni dopo lo sciopero

Egregio Direttore,

la data del 4 maggio non è importante in sé, è importante perché rappresenta il bivio finale di fronte al quale si troverà il Governo: convivere attivamente con il virus o attendere passivamente la sua futura scomparsa (o quasi).

Dalla stampa recente, in particolare quella estera, ho personalmente osservato che non emerge una certezza riguardo il vaccino. Non si sa ancora se l’immunizzazione sia definitiva o temporanea. Guardando ai parenti stretti del SARS-2, i Coronavirus parainfluenzali, non sembra sicuro che l’impronta immunitaria successiva al Covid-19 possa rimanere efficace nel tempo. Un’ipotesi riportata spesso è che il SARS-2 possa rimanere tra noi per molti anni, perdendo però progressivamente la sua “virulenza”.

In questo scenario, ammesso che venga confermato, è impossibile tenere chiuso la maggior parte del mondo economico per troppo tempo. Si arriverebbe a quello che un giornalista inglese ha definito come “disastro economico”  (ben oltre la recessione) ed un ritorno alle barbarie. Credo quindi che la riapertura di tutte le attività, comprese quelle definite impropriamente “non essenziali”, debba avvenire il prima possibile.

Dovremo però imparare a convivere con il virus, controllandolo. Per fare ciò è essenziale che l’auspicata ripresa delle attività produttive e commerciali avvenga in sicurezza.

Per questo motivo vorrei fare un appello a tutti i miei colleghi che si occupano di sicurezza nelle aziende perché agiscano con pragmatismo e profonda conoscenza.

Non è più tempo per l’applicazione delle procedure di sicurezza solo perché lo dice la legge. È ora invece di comprendere pienamente i regolamenti e di fare azioni concrete, efficaci e diffuse per mettere in sicurezza il “lavoro”. Dobbiamo andare oltre i protocolli minimi che ci arrivano dalle istituzioni (in particolare vorrei evidenziare, a mio personale giudizio, l’OMS) ed implementarli con una formazione puntuale, completa ed esaustiva.

Un esempio: l’uso delle mascherine deve essere fatto in modo proprio, evitando di renderle inutili o, peggio, pericolose. Mi ha colpito molto il comportamento, non ottimale, di un personaggio della protezione civile, in una delle prime interviste televisive, di come teneva la mascherina che aveva in mano, toccandola ripetutamente all’interno ed all’esterno.

Le aziende, attraverso i loro RSPP o i datori di lavoro, dovranno essere una fonte di informazioni dinamiche che possano garantire ai dipendenti (ed ai loro famigliari) la massima protezione dal virus.

È importante che i lavoratori, ma sarebbe auspicabile tutte le persone, conoscano quali sono i mezzi di protezione ottimali, che sappiano, ad esempio, la differenza tra una soluzione idroalcolica per le mani e l’ipoclorito di sodio per le superfici, che mantengano la vera distanza minima di sicurezza (che non è 1 metro) e comprendano tutto quanto la scienza ci permette di sapere ad oggi.

Come riportato da un virologo, è importante, nel momento in cui si riapriranno le aziende, non commettere errori, non possiamo permettercelo.

È stato fatto un paragone con la spagnola del 1918, in particolare per la fretta di riaprire le aziende, che dovevano garantire la produzione di armamenti, e le attività commerciali, per evitare gli assembramenti nei pochi negozi allora aperti.

Io credo che la situazione è ora diversa. Le aziende possono riaprire oggi con la garanzia di implementare (magari con veloci ma numerosi e frequenti controlli) tutte le procedure di sicurezza, grazie alle larghe conoscenze e la loro ampia e facile diffusione. Le attività commerciali possono, a loro volta, offrire servizi in completa sicurezza, anche mediante la rimodulazione degli orari (diversamente da quanto abbiamo oggi) o gli ingressi programmati su appuntamento (l’informatica aiuterebbe in ciò).

I grandi assembramenti di allora, le trincee per la guerra, non si potevano chiudere né limitare. Il paragone con oggi mi viene con i mezzi di trasporto, in particolare le metropolitane. Ho notato che i focolai più importanti si sono sviluppati proprio dove c’è la metropolitana. Oggi, con gli opportuni accorgimenti e con una forte diluizione della presenza umana, è possibile mettere i trasporti in relativa sicurezza.

Questa non è una guerra contro un nemico invisibile (i virus fanno solo ciò che fanno tutti gli esseri dotati di DNA, replicarsi per sopravvivere), questa è una battaglia per convivere con un nuovo ospite limitando i contatti con esso. Ho letto da un virologo, ancora a febbraio, che i virus hanno interesse a mantenere vivo il loro ospite e forse ciò è il motivo per il quale questo virus potrebbe perdere di aggressività e diventare il quinto coronavirus con cui viviamo, senza problemi, da anni.

 

di
Pubblicato il 19 Aprile 2020
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.