Tre medici varesini nelle zone più colpite dall’infezione

I dottori dell'ASST Sette Laghi a Bergamo, Seriate, Cremona. "Mi ricordo tutte le facce dei pazienti, di chi ce l'ha fatta e di chi no"

Generico 2018

Sono tre i medici dell’ASST dei Sette Laghi che volontariamente hanno prestato servizio negli ospedali lombardi delle zone più colpite dalla diffusione del contagio.

Si tratta di due internisti e un chirurgo. Sono Flavio Tangianu, della Medicina luinese, per una settimana impegnato all’Ospedale di Seriate e ora in forze alla Medicina ad Alta Intensità dell’Ospedale di Circolo.

Mauro Molteni, della Medicina tradatese, per due settimane in servizio all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e ora in forze al personale dell’Area Osservazione 2 del Circolo.

E Maurizio Cannavò, della Chirurgia Varese-Cittiglio, per una settimana all’Ospedale di Cremona e ora tornato nella struttura di provenienza.

I loro nomi sono accompagnati da quelli del reparto di afferenza e della sede di destinazione, come per i soldati in tempo di guerra. E, la guerra, tutti e tre dicono di averla vissuta davvero in questi brevi, intensi, indimenticabili periodi trascorsi tra Bergamo e Cremona.

E, come nei racconti di guerra, la descrizione delle battaglie è intervallata da quella degli incontri, a volte solo fugaci, che in quel contesto fanno la differenza e restano nel cuore per tutta la vita, nitidi come fossero sempre presenti.

Ricordo due fratelli, nemmeno quarantenni, ricoverati nella stessa stanza, entrambi ventilati. – racconta il dottor Tangianu – Ce l’abbiamo fatta a tirarli fuori, evitando di arrivare all’intubazione. La gioia che abbiamo provato per loro quando li abbiamo dimessi è ancora viva”.

Tangianu, 40 anni, moglie e figlia a casa in Sardegna, è partito per Bergamo perché voleva rendersi utile, ma anche per imparare: “Qui a Varese non avevo avuto ancora occasione di confrontarmi con i pazienti con il Covid-19, volevo vedere come venivano valutati, come venivano curati. Poi sono tornato e ho preso servizio nella Medicina ad Alta Intensità, il reparto dell’Ospedale di Circolo tutto dedicato ai pazienti Covid+. Da questa esperienza ho capito che, nonostante tutti i progressi nelle cure, la natura può sempre prendere il sopravvento e che se è importante lavorare per aumentare la quantità di vita, lo è molto di più migliorarne la qualità”.

Mi ricordo tutte le facce dei pazienti, di chi ce l’ha fatta e di chi no – interviene il dottor Molteni, 44 anni – Bergamo, in quelle due settimane, era in guerra. Credo che comunque lo sia ancora. E’ stata dura, anche per chi, come me, ha sempre fatto medicina d’urgenza. La cosa più impressionante è lo spirito di squadra che si innesca in questi frangenti: tutto il personale di un ospedale grande come il Papa Giovanni XXIII si è messo a disposizione: dagli otorini ai dermatologi. E tutti gli infermieri. C’è disponibilità, forza, carattere, dedizione. In un contesto del genere, bastano due settimane per stringere amicizie destinate a durare, perché quelli lì sono momenti che non dimenticherai mai. E così mi sono commosso quando i colleghi di Bergamo mi hanno inviato in dono una maglietta con il mio nome e il loro incoraggiamento: Mola mia!”.

Sono stato al Pronto Soccorso di Cremona per una settimana. E’ come se ci avessi lavorato per mesi. – racconta il Dott. Cannavò, chirurgo 53enne – Io e i colleghi ci riconoscevamo solo dagli occhi: vedevamo le espressioni e gli sguardi attraverso la visiera, ma tanto è bastato per diventare amici, compagni d’avventura. Molti medici e infermieri erano ammalati, e quindi noi eravamo particolarmente sotto pressione. E le ambulanze continuavano ad arrivare! Uno dei primi giorni è arrivato un ragazzo di 18 anni, era messo malissimo. Gli esami lo hanno confermato. Abbiamo tentato di aiutarlo con la CPAP, ma continuava a peggiorare. Ho chiamato gli anestesisti e ho chiesto di intervenire subito. Hanno deciso per l’intubazione. Prima di addormentarsi, mi ha chiesto se ce l’avrebbe fatta, che voleva farcela per tornare da sua mamma. Mi teneva la mano e io gliela stringevo più forte. Gli ho detto di sì, che ne ero sicuro. Ma avevo paura anche io. Sono rimasto con lui finché non si è addormentato e poi tutti i giorni tornavo a chiedere sue notizie. Ma non andava bene. Sono venuto via da Cremona con questo pensiero. Finché un giorno ho sentito al telegiornale che parlavano di lui, di Mattia, che ce l’aveva fatta, era fuori pericolo. Ho richiamato Cremona e sono riuscito a contattare sua mamma, Ombretta. Mi ha confermato la bella notizia, era felice e commossa, come me. Qualche giorno dopo si è fatta sentire: avevo postato su Facebook la foto di un pensierino che mio figlio mi aveva fatto avere per la festa del papà, capitata proprio mentre ero a Cremona. Ombretta si è rivolta a lui, che ha 11 anni, spiegandogli che se io non avevo potuto passare con lui quella festa era perché avevo dovuto fare da angelo custode a suo figlio!”.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 06 Aprile 2020
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