Sogni di cemento: l’architettura moderna raccontata da Stefano Perego

Dalla provincia lombarda all'Asia ex sovietica, dalle periferie urbane ai monti dell'ex Jugoslavia, il fotografo racconta il "brutalismo" che incarna sogni, disillusioni, utopie

L'architettura fotografata di Stefano Perego

Nel cemento trovano forma sperimentazione e creatività. Che sia un complesso di case popolari o una chiesa in un quartiere per anziani di Düsseldorf, un gigantesco Lenin o un liceo di provincia lombarda, un edificio di abitazioni e servizi a Ivrea o una minuscola villetta giapponese, è il cemento che definisce gli spazi in cui si vive nella modernità. Ed è anche il materiale al centro di molti degli scatti di Stefano Perego, fotografo di base a Milano, classe 1984.

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Siamo approdati alla sua ricerca grazie ad alcune foto su Instagram, che ritraevano arditi edifici in cemento della zona dell’Alto Milanese, tra Busto Arsizio e Gallarate: dalle chiese cattoliche alla “ala nuova” cimitero bustocco, o ancora le scuole.

Una scoperta che ci ha portato a curiosare nel profilo Instagram @stepegphotography: raccoglie decine di scatti che raccontano molti aspetti della sua ricerca, che in realtà indaga anche altre forme dell’architettura moderna e contemporanea, oltre al “brutalismo”.

Nel guardare le tue foto mi veniva la definizione di “sogno di cemento”, là dove altri forse parlerebbero di incubo. Cos’ha di affascinante, questo materiale?
Il mio interesse verso questo tipo di materiale è puramente estetico. Da diversi anni ricerco e fotografo costantemente edifici progettati e costruiti nella seconda metà del ventesimo secolo e il Brutalismo (movimento nato negli anni ’50 dal beton brut, ossia cemento grezzo, di Le Corbusier) è sicuramente lo stile architettonico che documento di più. Le grandi facciate dalle forme plastiche scolpite nel cemento armato hanno un forte impatto visivo sullo spettatore e sono affascinanti per la loro bellezza non convenzionale e per la matericità del cemento.
Quindi in sintesi: matericità, versatilità e impatto visivo.

L'architettura fotografata di Stefano Perego
Johannes XXIII church, by architect Heinz Buchmann and sculptor Josef Rikus, 1968. Cologne, Germany.

All’attivo hai un libro dedicato all’architettura sovietica in Asia, ma la tua ricerca spazia in molti luoghi: quali sono stati i principali viaggi che hai fatto per fotografare?
Ho documentato numerosi edifici nell’Europa dell’est e nell’ex Unione Sovietica, in particolare quelli appartenenti alla corrente del modernismo socialista. Tra i viaggi più importanti ci sono sicuramente quello in Asia Centrale dal quale è nato appunto il libro SOVIET ASIA, quello nel Caucaso e quello nei Balcani.

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The iron fountain originally built in the area of the Polytechnic University of Gyumri by Arthur Tarkhanyan, 1982. The fountain is still standing after a strong earthquake in 1988 destroyed a big part of the city. Gyumri, Armenia.

Molte delle architetture che ritrai stupiscono per l’audacia, tanto che ci si chiede come possano non crollare. Qual è quella che ti ha stupito di più?
Sicuramente il periodo che va dagli anni ’50 agli anni ’80 ha prodotto numerose architetture incredibili e gli edifici che fotografo sono la testimonianza di un epoca di grande sperimentazione e creatività. E’ veramente impossibile sceglierne una che mi ha stupito particolarmente, sono decine quelle che mi hanno lasciato senza fiato.

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Housing complex, by architects Jean Renaudie and Renée Gailhoustet, 1969-1975. Ivry sur Seine, France.

A volte ritrai anche l’abbandono e la rovina, mi viene in mente ad esempio la torre dell’acqua di Vukovar, distrutta nel 1991. Ma mi pare non sia un tema centrale, non c’è la ricerca insistita del lato oscuro…
In realtà la mia carriera fotografica è nata nel 2006 proprio fotografando le aree industriali dismesse intorno a Milano. Da quel momento e per diversi anni ho fotografato centinaia di edifici abbandonati di diverso tipo in Italia e in molti stati europei.
La torre di Vukovar l’ho fotografata proprio nel punto di svolta del mio lavoro. Mi trovavo nei Balcani per fotografare alcune strutture in rovina e sono stato completamente travolto dalla potenza degli edifici in cemento armato che caratterizzano l’area, specialmente nelle città di Belgrado, Skopje e Podgorica. Da quel momento mi sono fortemente interessato a quel tipo di architettura.

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 Vukovar water tower, by architects Petar Kušan and Sergej Kolobov, 1963-1968. Heavily damaged during the Battle of Vukovar, august-november 1991. Vukovar, Croatia. (qui nel formato originale)

 Una scelta che mi pare molto evidente è quella di voler escludere la presenza umana dalle fotografie, seppur con qualche deroga. Perché?
Cerco spesso di evitare la presenza umana all’interno delle mie fotografie perché potrebbe essere un elemento di disturbo e perché voglio che l’architettura sia la protagonista assoluta.
Tuttavia a volte includo una o più persone, così come gli animali o i mezzi di trasporto, che aiutano a creare un’immagine più completa contestualizzando l’edificio e facendone capire le reali dimensioni.

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Soviet war memorial and residential buildings. Chiatura, Georgia. (qui nel formato originale)

Perdonami la domanda molto provinciale: sbaglio o tra gli edifici italiani hai fotografato molto nella zona dell’Alto Milanese, tra Gallarate e Busto Arsizio? Molte foto sembrano scattate nello stesso giorno di neve: ci sei capitato per caso o seguivi soggetti interessanti?
In generale non capito mai per caso, faccio lunghe ricerche prima di fotografare determinate architetture. In quella zona ci sono tornato più volte dato che è particolarmente ricca di edifici interessanti, come le opere del grandissimo Enrico Castiglioni.

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 Elementary school, now ENAIP vocational training centre. By architect Enrico Castiglioni, 1957-1959. Busto Arsizio, Italy.

Nella tua bio, anche sui social, citi il libro Soviet Asia: cosa ti ha spinto in particolare a scegliere questo campo di ricerca?
Come ho già detto in precedenza, il mio interesse verso determinati stili architettonici mi ha portato a esplorare l’est Europa, e dopo aver fatto reportage fotografici in paesi come Georgia, Armenia, Bielorussia e tanti altri, è stato molto naturale finire per esplorare l’Asia Centrale, un’area davvero ricca di storia e di culture diverse. Una delle particolarità del Modernismo Sovietico è quella di includere, nelle massicce facciate spesso in cemento e all’idea di modernità Sovietica, elementi e materiali appartenenti alla tradizione locale. Questo aspetto è visibile soprattutto in Asia Centrale dove stupendi mosaici e murali dai colori vivaci decorano edifici di varie tipologie, oltre all’utilizzo di pattern, elementi che si ripetono sulle facciate ispirati dalle geometrie presenti sui tappeti e i tessuti.
Il libro SOVIET ASIA è il risultato di un grande lavoro di documentazione svolto con il collega e amico Roberto Conte e pubblicato da FUEL, casa editrice di Londra.
Il nostro intento è stato quello di creare un percorso visivo curato, mostrando l’eredità dell’architettura modernista sovietica in paesi come Uzbekistan, Tagikistan, Kazakistan e Kirghizistan, documentandone l’estetica e salvandone la memoria, dato che questi edifici stanno velocemente scomparendo.

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 Chorsu Bazaar, by architects Vladimir Azimov and Sabir Adylov, 1980s. Tashkent, Uzbekistan.

Qual è il prossimo luogo dove ti porterà la fotografia?
Sto lavorando a numerosi progetti. Vi invito a seguirmi sul mio profilo Instagram stepegphotography per scoprirli.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 04 Febbraio 2021
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