In carne e ossa è meglio. L’eccesso di smart working mina l’innovazione

Passiamo tante informazioni a molte persone continuamente, ma per generare flussi di nuova conoscenza c'è bisogno di una quota non marginale di lavoro in presenza

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In questi giorni due colleghe ci hanno salutato per proseguire il loro percorso professionale altrove. L’una: «Grazie di cuore a tutti, per quello che mi è stato dato in questi anni e per il tempo speso insieme tra progetti, condivisione, corse, gioie e dolori. Grazie a Pippo per la pazienza e la voglia di insegnare, Pluto per la guida e la disponibilità ad ascoltare, Paperina per essere stata la prima mentore, Qui, Quo, Qua per essere ed essere stati ottimi amici… e a tutti gli altri per i caffè, le chiacchiere, i pranzi in terrazzo, i messaggi e le telefonate. Rimanendo nella stessa città non è un addio ma un arrivederci, per chi non lo avesse ecco il mio numero personale 123456789, se avete voglia di un caffè, un pranzo o una bevuta sono qui».

L’altra: «Questo è stato il mio primo posto di lavoro e penso che non avrei potuto essere più fortunata di così: dal primo giorno ho avuto modo di imparare, sbagliare, divertirmi, piangere, mettermi alla prova… crescere. Tutto questo è stato possibile perché sono sempre stata circondata da voi, persone meravigliose, professionisti di valore. Tizio, grazie per la passione che metti in tutto quello che fai e che giorno dopo giorno hai cercato di trasmettermi con pazienza e dedizione. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per essere stato mentore, guida ed esempio, ancora prima che il mio capo. Grazie perché mi hai insegnato cosa vuol dire essere un leader: mettersi in prima linea senza stancarsi mai. Caio, le parole non potranno mai esprimere a sufficienza la gratitudine che ho nei tuoi confronti per avermi preso sotto la tua ala. Da quel giorno, insieme, abbiamo costruito davvero tanto e niente sarebbe stato possibile senza la tenacia e il cuore che metti in tutto quello che ti capita tra le mani. Sempronio, grazie per avermi insegnato cosa vuol dire lavorare, sono stata immensamente fortunata a poter imparare da te precisione, metodo, rigore e determinazione. Grazie per avermi fatto capire quando avevo conquistato la tua fiducia. Pinco e Pallo, con voi ho semplicemente condiviso tutto il percorso fin dal primo giorno: grazie per esserci ed esserci sempre stati, come Amici prima che come colleghi. Grazie a ognuno di voi per aver fatto parte di questo viaggio, sono stati anni indimenticabili e proprio per questo, oggi, a dire il vero, mi sento un po’ senza gambe».

L’ECCESSO DI LAVORO DA REMOTO MINA L’INNOVAZIONE

Dai loro messaggi di commiato si intuisce chi e come ha alimentato la loro esperienza positiva: una qualità di relazioni profonde che sono nate prima dell’esperienza pandemica di distanziamento attraverso la presenza in carne e ossa sul posto di lavoro. Il New York Times ha pubblicato un articolo dal titolo provocatorio: “Se non hai mai incontrato i tuoi colleghi di persona, puoi dire veramente di aver lavorato in quell’azienda?”. Mentre la pandemia si trascina, sempre più persone iniziano e lasciano nuovi posti di lavoro senza vedere nemmeno una volta i loro colleghi faccia a faccia. In aprile e giugno 2021 quasi il 3% dei lavoratori negli Stati Uniti ha lasciato il proprio datore di lavoro spontaneamente, un record assoluto da quando esistono questi dati. Evidentemente se sei in un posto di lavoro o in un lavoro in cui non c’è attaccamento e relazione personale con gli altri, è più facile dal punto di vista emotivo andarsene. Questo è un grosso problema per le imprese per molte ragioni, in particolare perché l’eccesso di lavoro da remoto mina l’innovazione.

L’INNOVAZIONE SI NUTRE DI NUOVE INFORMAZIONI

L’innovazione, sia incrementale che radicale, si nutre di nuove informazioni, che spesso provengono da prospettive che non ci sono famigliari, quindi da elementi dei nostri network soprattutto informali, che fanno da ponte verso universi di conoscenza lontani dalle nostre frequentazioni culturali e quotidiane. Sono le nuove prospettive, con cui l’occhio altrui ci fa vedere la realtà che ci circonda, e che è in trasformazione imminente, oppure ci fa vedere mondi sconosciuti, ad alimentare la nostra capacità di creare idee e soluzioni, che nascono spesso ai confini tra organizzazioni, culture e stili di vita. La contaminazione e la putrefazione del vecchio fa nascere il nuovo.

Con lo smart working non smart dovuto alla pandemia, abbiamo alimentato molto meno i legami con le fonti primarie di nuove informazioni che sono le “bridging ties” dei nostri network, abbiamo investito sulle “bonding ties” dei nostri team di lavoro, quindi aumentando l’effetto silo, sentendoci più vicini (anche se a distanza) con tutti quelli che conosciamo bene e molto, molto più lontani da quelli che non lavorano “funzionalmente” e strutturalmente con noi. Inoltre, abbiamo incrementato la quota di comunicazione che passa dai canali “poveri”, come le mail, i messaggi istantanei e anche le video comunicazioni, a sfavore della quota dei canali “rich media”, come la comunicazione in presenza assistita da supporti per la creatività, l’immersione sensoriale ed esperienziale completa. Questo ha ridotto la nostra capacità di costruzione di senso: passiamo molte informazioni a molte persone continuamente, ma non abbiamo la capacità di convergere verso la creazione di un sentire, di un “significare” co-costruito e rigenerativo. Questi due effetti combinati limitano la nostra sostanziale capacità di acquisire ed elaborare le nuove informazioni e quindi impattano la capacità d’innovazione a lungo termine. Lo ha dimostrato Microsoft con uno studio scientifico presentato su Human Nature Behavior (https://www.nature.com/articles/s41562-021-01196-4), analizzando i dati dettagliati su e-mail, calendario, messaggi istantanei, chiamate video/audio e ore lavorative settimanali di 61.182 dipendenti nel corso di 6 mesi. Gli autori hanno dichiarato: “I nostri risultati mostrano che il lavoro remoto a livello aziendale ha reso la rete di collaborazione dei lavoratori più statica e isolata, con meno ponti tra le parti disparate. Inoltre, c’è stata una diminuzione della comunicazione sincrona e un aumento della comunicazione asincrona”. Le organizzazioni vincenti, tutte, hanno bisogno di innovare.

Lo smart working vero deve bilanciare l’efficienza, la sostenibilità e l’inclusione del lavoro, con la necessità di nutrire flussi di nuova conoscenza che solo una quota non marginale di lavoro in presenza può generare. Al di là della questione, in fondo pratica, dello smart working, la domanda vera per essere innovativi rimane come fare ad alimentare l’apertura verso nuove fonti di conoscenza e informazione e la curiosità e la capacità di ascolto e ibridazione con sistemi di pensiero diversi.
“La comunicazione elettrica non sarà mai un sostituto del viso di qualcuno che con la propria anima incoraggia un’altra persona ad essere coraggiosa e onesta”, Charles Dickens.

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Pubblicato il 12 Settembre 2021
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