La “strage di Gallarate” del 1521, cinquecento anni fa

L'8 ottobre, giorno "gravido di lutto e di sangue" in cui bande di soldati invasero il borgo irrompendo dalle porte, uccidendo e derubando. Massimo Palazzi ricorda l'anniversario

gallarate generico

«Ricorrono i 500 anni da uno degli episodi più cruenti e tragici vissuti dalla nostra Città nell’ultimo mezzo millennio: si tratta della cosiddetta “Strage di Gallarate” (Gallarati clades)». Massimo Palazzi, cultore di storia locale ed assessore uscente alla cultura, fa memoria di fatti lontanissimi nel tempo, ma riflette anche sul senso del dolore nella storia.

Parte dall‘8 ottobre 1521, quando il borgo di Gallarate «venne invaso, devastato e saccheggiato dalle bande di soldataglie coinvolte nelle guerre e negli scontri per il dominio sul Ducato di Milano, che affliggevano i primi decenni del Cinquecento».

Una cronaca del tempo, tramandata nell’arco di mezzo millennio, restituisce tutta la violenza di quei tempi, che non aveva alcun argine che difendesse quelli che oggi – in una guerra – chiameremmo “i civili”, né tantomeno poteva porre argini alla violenza sulle cose: le soldataglie che vagavano nel Seprio infatti violarono le porte di Gallarate (che si trovavano ad esempio tra piazza Risorgimento e via San Francesco o in piazza San Lorenzo), devastarono il borgo e usarono ogni violenza.

“Di fronte alla fatica della vita non siamo soli”

Ma Palazzi vi accosta anche l’8 ottobre 2001, vent’anni fa, il giorno della tragedia di Linate, che colpì anche il Gallaratese (con vittime anche a Gallarate, Cassano Magnago e Samarate).

«Come diceva Pietro Tenconi “L’importanza del ricordare sta anche in questo: nel mostrare che di fronte alla fatica della vita non siamo soli” (1999)» dice Palazzi, citando l’amato Pietro Tenconi, recentemente scomparso dopo quasi un secolo di vita.

Le sofferenze patite dai nostri antenati non potranno mai alleviare il dolore di chi ha perduto gli affetti più cari nelle tragedie recenti, ma possono aiutarci a capire che siamo parte di una Comunità che ha il dovere e il diritto di ricordare, per trovare il coraggio di proseguire».

Lo stesso Palazzi, da assessore alla cultura, nel cuore della pandemia del 2020 aveva fatto appendere uno striscione  che ricordava che “Gallarate fu invasa, devastata, incendiata, quasi distrutta, ma risorse sempre” (una frase dello storico Pier Giuseppe Sironi riferita proprio al 1521). Quello striscione era richiamo alla storia, per superare il dramma di un presente che allora sembrava quantomai incerto:

Gallarate deserta

La strage di Gallarate dell’8 ottobre 1521

Tornando alla strage di Gallarate del 1521, Palazzi riporta la cronaca dei fatti lasciata dal notaio gallaratese Bernardino Ferni (precisamente Bernardino Brusatori detto il Ferni) nell’opera Naufragium Italicum. Che ci ricorda anche quanta violenza diffusa esistesse in un passato che a volte viene depurato degli aspetti più tremendi:

La strage di Gallarate
(Gallarati clades)

Frattanto (per affrettarci di passaggio ad altri fatti) innumerevoli bande di Milanesi profughi, i cui comandanti erani stati valorosi sopra tutti, tali Italobarbaro, Giacomo Antonio e Matteo Crivelli, che superavano in crudeltà lo stesso Tiberio, e diversi altri, i cui nomi al presente non ricordo, con volto impetuoso e animo furente il lunedì otto ottobre del medesimo anno all’ora all’incirca penultima del giorno circondano rapidamente Gallarate, borgo per niente disprezzabile nel Seprio: e contro di esso minacciano stragi, incendi, un saccheggio sistematico, e altri crimini di guerra con ingente clamore, affinchè si arrendano senza esitazione alla loro mirabile discrezione e onestà.
Ma i cittadini, tenuto prima fra sè consiglio, scorgendo perfettamente i costumi oltre modo gentili dei profughi, e l’allettante veleno, simile ad una pestilenza contagiosa, imperterriti all’udire il rumore (come in proverbio si suole dire) di numerose foglie di fico, trascurando le minacce, alla fine con la libertà di Brizeno denunciarono apertissimamente al nemico di voler sperimentare mali estremi, piuttosto che dare il proprio assenso alle loro subdole arti: ciò fatto seguì una rissa fra le due parti nello scorrere circa di una sola ora a lato del ponte di San Francesco di quello stesso luogo; dopo che furono o feriti o uccisi una trentina di profughi, alla fine nel crepuscolo gli assedianti con nuova arte e dolo entrano nella città come sconvolti da furie impazzite.

«Imprese dei profughi milanesi contro Gallarate» Ma inorridisco, son preso da paura tremo: vacilla l’animo, barcollano i piedi, tentenna non poco la memoria mentre sto per fare parola degli obrobrii da loro compiuti a questa città, mentre sto per raccontare quale fu la ferocia di una guerra turbolenta, e ciò che parimenti accadde ai vinti: tutti infatti (per passare in rassegna soltanto i fatti più leggeri) i giovani, e i vecchi, e tanto maschi quanto femmine, tanto bambini che cresciuti, tanto votati alla religione che al secolo, tanto dementi che claudicanti, tanto colpevoli che innocenti circondano, sgozzano come bestie, trucidano, catturano, torturano: estorcono denaro, deflorano vergini, spogliano rapacissimi senza distinzione i chiostri delle Vestali, i templi degli Dei e infine le abitazioni di tutti: fanno impeto brutalmente su tutti e sulle fortune di tutti come delle arpie: tutto è gravido di lutto e di sangue.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 06 Ottobre 2021
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