Il cammino incantato della Patagonia in compagnia di Chatwin e Sepúlveda

Dino Azzalin incontra sul suo cammino il fratello Giancarlo. È alla fine del mondo dove «acqua, terra e cielo si uniscono in uno spettacolo naturale incomparabile»

Questo è un diario di viaggio dal Cile scritto da Dino Azzalin che per la “maggiore età” ha voluto farsi un regalo ripercorrendo le tracce e la storia dei miti giovanili, a partire dal poeta Pablo Neruda per arrivare a Salvador Allende. In questa puntata l’autore viaggia verso la fine del mondo, attraverso la Patagonia in compagnia dei libri di Bruce Chatwin e Luis Sepulveda

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Il viaggio è fatto di incontri preziosi, alcuni superflui molti indispensabili, e il volo che da Calama mi porta via da Cristhela e dall’estremo Nord del deserto di Atacama, mi conduce a Santiago dove Carolina mi ha portato alla Chascona di Neruda, e dove con la connessione per Punta Arenas verso sud, oggi ho fatto l’incontro più gradito di questo lungo viaggio: quello con mio fratello Giancarlo, proveniente dalla Colombia.
Sì, abbiamo deciso di trascorrere insieme qualche giorno alla scoperta di una regione, la Patagonia e due nazioni Cile e Argentina, che nessuno dei due aveva mai visto prima. E come dice Marcel Proust, pur non esistendo luoghi nuovi al mondo, esistono altri occhi per vederli, e così insieme a nuovi sguardi con una nuova vista sulla Patagonia, abbiamo parlato della nostra vita e delle cose. E fino a Ushuaia quasi al polo Sud, il tempo non è mancato.
Così la Patagonia cilena e quella argentina è un cammino incantato che facciamo insieme pur avendo mete diverse, ma che negli elementi distintivi, in comune ci unisce il destino della fratellanza e del sangue. Le nostre vite hanno preso da tempo altri cammini, ma la Patagonia li riunisce in un’unica strada: la nostra.

Stare insieme qui è come pregare. Una terra che così ci appare in realtà nella sua stessa selvatica propensione alla bellezza naturale, alla sorpresa, di cui abbiamo sempre sentito le pulsazioni alle radici dello stupore, alle sorprendenti sorgenti delle acque più pure dei ghiacciai, che penso siano le stesse che hanno stregato uno dei più grandi esploratori delle XV secolo, Ferdinando Magellano portoghese al servizio al della corona di Spagna. Infatti proprio 500 anni fa, precisamente nel 1520, durante il suo viaggio di circumnavigazione del globo terrestre, il navigatore scopre il canale a cui verrà dato il suo nome di “Stretto di Magellano” che sancisce l’importante passaggio naturale tra l’Oceano Pacifico e quello Atlantico e di conseguenza unisce la Patagonia cilena con quella argentina.
Così è ferma nei secoli e immutata la sua definizione come l’impronta”pata gones” che significa “grande orma”. E infatti i conquistadores scoprirono che i primi insediamenti indios erano provvisti di “grandi piedi”. E i Tehuelche, chiamati anche Patagoni Chon o Chonk o Tchonk, nativi americani che stanziarono in quelle terre e dediti alla caccia alla pesca e al nomadismo, lasciavano sulla neve e i ghiacciai grandi impronte. In realtà pare fossero dovute alle cortecce di faggio e pelle di guanaco con cui si proteggevano dai rigori artici che ne ingrandivano le orme. Erano piuttosto alti e quindi vennero conosciuti dagli europei con il nome di Giganti della Patagonia.

LA TERRA DEL FUOCO

Di loro è rimasto poco o niente se non rare testimonianze nell’ultima parte verso Ushuaia. Tribù che tenevano accesi fuochi anche di notte per ripararsi dal freddo è disseminati in molti punti e sulla costa, così che Magellano la definì Terra del fuego. Quella che è rimasta fino ai giorni nostri: Terra del Fuoco. Punta Arenas è la città più importante della Patagonia cilena dove ho finito di rileggere il libro autobiografico di Pablo Neruda “Confieso che ho vivido” . Ora le mie due “guide” in questa terra desolata e ventosa sono i due romanzi più belli che siano mai stati scritti e che si possano leggere viaggiando qui: “In Patagonia” di Bruce Chatwin intramontabile dandy inglese, scrittore, viaggiatore, raffinato battitore di aste alla Sothebys di Londra e il suo libro cult per “viajeros”. E l’altro consigliatomi prima di partire dall’amico Claudio CDel “Il mondo alla fine del mondo” di Luis Sepulveda, che tra l’altro ho avuto la fortuna di incontrare a Luino grazie a Vittorio  Colombo che lo intervistava per il premio Chiara. E qui seguendo un percorso ideale che entrambi fanno in tempi diversi e con obiettivi altrettanto diversi, esce un comune denominatore che è quello di celebrare questa terra ma soprattutto difenderla dagli attacchi delle speculazioni più orribili come nelle grandi città o sulla costa (Vina del Mar-Valparaiso).

UN DESERTO CAPOVOLTO

Da una parte la ricerca del passato del Milodon un brontosauro estintosi dopo l’era glaciale a cui venne dato anche il nome di Darwin che lo studió nella Cueva a pochi km da Puerto Natales dove ne sono stati rinvenuti i resti, e dall’altra la difesa delle balene dalle baleniere che in questa immensa solitudine tra i due Oceani ne cacciano le loro vite. La Patagonia è un deserto capovolto di una dimensione ovunque immensa e sconfinata, e la riflessione è quella di come la Natura qui abbia avuto la meglio sull’uomo, ma la risposta è presto data, quasi sempre i luoghi più belli ma altrettanti invivibili per l’uomo, diventarono oasi che si “salvano da sole”.
I parchi, e poi i patrimoni naturali, l’Unesco, ma soprattutto un turismo ecosostenibile hanno fatto il resto. E verso l’uomo, los indios che hanno lottato col vento, la neve, il gelo e la pioggia, per lasciare ai conquistadores un patrimonio naturale pazzesco va il merito di essere stati i primi a godere la faticosa bellezza di queste Valli. E di aver lasciato incontaminato questa latitudine australe al proprio mistero.
Partendo dalla capitale della Patagonia e dell’Antartide cilena Punta Arenas (punta sabbiosa) un brivido mi percorre la schiena, si sente un parlare strano quasi slavo, e da qui capisco quel che la storia dice delle origini croate della città oggetto nei secoli scorsi di una grande immigrazione dalla Croazia. E percorrere strade, nei parchi naturali, salire le maestose cime del Torre del Paine osservare i ghiacciai che forniscono un’acqua preziosissima, e i colori dei laghi di ogni tipo, i fenicotteri rosa, i guanachi che hanno, come scrive Chatwin, il verso di un bambino che piange e starnutisce allo stesso tempo. E poi giù verso l’Argentina, attraversando lo stretto di Magellano in questo paesaggio di arbusti bassi e strade polverose, verso Rio Grande, dove l’orizzonte sembra sempre più infinito anche quando sembra prossimo un confine.

USHUAIA: LA VISIONE

Eppure a qualche centinaio di chilometri c’è la fine della terra e poi ancora le estremità antartiche, il freddo, il gelo, la solitudine australe: che emozione! E dopo ore, giorni interminabili di bus, ecco El Paso Garibaldi, (non so proprio se sia Giuseppe ma non mi meraviglierei visto che l’eroe di due mondi è stato un po’ dappertutto), e poi le splendide montagne pitturate appena di un bianco immenso, e questo è lo strepitoso biglietto da visita di Ushuaia, vallate verdissime costituite da distese immense di alberi non altissimi, gli llegas, a forma di palma e verdissimi, e i coigues più chiari che insieme sembrano un albero unico che ricoprono questo splendido landscape argentino.
Quel che la glaciazione ha lasciato dopo il disgelo è davvero uno spettacolo mozzafiato che unisce acqua, terra e cielo in uno spettacolo naturale davvero incomparabile. E qui il ghiacciaio fino a 25000 anni fa costituiva una unica lastra di ghiaccio con il Perito Moreno che è tra ghiacciai più grandi del pianeta, largo migliaia di chilometri e con uno spessore di 1200 metri.
Ushuaia fino agli inizi del ‘900 era costituita di poche case, una chiesa, una prigione, una caserma, e pochi pescatori. Qui “ los indios yaghanes” primi abitatori di questa terra emersa dai ghiacciai fiumi, e chiamati uomini delle canoe perché abili a costruirle, mezzi indispensabili per muoversi tra fiumi isole, laghi e lagune, oggi sono studiati per la loro grande resistenza a questi climi estremi. E nelle canoe costruite con le cortecce degli alberi e le resine e dove, sopra piccoli riporti di terra accendevano il fuoco , e sulle rive degli specchi d’acqua svolgevano la loro vita di caccia e di pesca. Oggi qui è estate, è fresco e si sta bene, ma l’inverno è terribile e le temperature scendono anche sotto i 30 gradi. E a Cerro Castor il centro sciistico più australe della terra, dove vengono a sciare squadre di sciatori da tutto il mondo si dice che se gli impianti interamente di legno magari non sono i più moderni, sono sicuramente quelli che conducono alla neve più bella del mondo, almeno per sciare.

LUIS SEPÚLVEDA E LE BALENE

A Ushuaia che ormai vive quasi solo di turismo, le escursioni sono davvero per tutti i gusti, dal treno della fine del mondo, che portava i carcerati (portati qui dalla Spagna a scontare la pena) per tagliare la legna per costruire le case di Ushuaia, a un trekking per tutti i gusti e capacità. E poi escursione verso l’Antartide, lungo il canale Beagle che separa Argentina dal Cile e dove in un solo giorno con il catamarano, si possono ammirare isole dove vivono intere generazioni cormorani, gabbiani, leoni di mare e una marea di pinguini che qui chiamano la “pinguinera”. Ma qui capisco meglio quando Luis Sepulveda che faceva il mozzo addetto alle informazioni meteo di una baleniera, descrive l’orribile mattanza di una balena “…il mattino successivo due scialuppe rimorchiarono l’animale fino alla spiaggia, e li i marinai di Chiloè lo aprirono con coltello simile a bastoni di hockey. Il sangue inondó i sassi e le minuscole conchiglie, formando fiumi scuri che arrossarono l’acqua … persino i gabbiani e i cormorani troppo audaci venivano squarciati con una coltellata dagli uomini che indossavano abiti di tela cerata e nera ed erano insanguinati dalla testa ai piedi…”.
Non c’è da stupirsi se Sepulveda, con Greenpeace ha dedicato gran parte della sua vita oltre alla scrittura, anche alla lotta contro l’uccisione dei capodogli e delle balene. Così anche noi con Micaela, Josè, Susana, Ricardo, una bella famiglia della Pampa Argentina, conosciuta sul catamarano, e mio fratello esultiamo con l’entusiasmo del turista, si di un turista qualsiasi, quando intorno al traghetto inizia improvvisamente la danza bizzarra e allegra di un branco di capodogli coi loro spruzzi di acqua che si levano fuori dalla superficie del mare. Questa meraviglia in parte la dobbiamo anche a Luis Sepulveda! E qui oltre le montagne, tra gli Oceani, si estende il circolo Polare Artico, e il mondo alla fine del mondo. Ma qui inizierebbe un’altra storia. E mio fratello riparte verso il tramonto da Ushuaia per Buenos Aires, e ciascuno di noi riprende la propria strada, forse verso un altro inizio, di speranza e di nuova vita. Col timbro sul passaporto che rilasciano solo qui a Ushuaia, ultima città del mondo, e verso quell’“Altrove” così caro ad Arthur Rimbaud, cioè quel “vivere andando” che è dentro ciascuno di noi.

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Pubblicato il 27 Gennaio 2023
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