Se non studi ti mando a lavorare. Le parole che squalificano il lavoro

Di lavoro non si parla e quando se ne parla lo si fa con un atteggiamento sbagliato. Benedetto Di Rienzo (Its InCom): "C'è una separazione netta tra l’impegno civico di partecipare allo sviluppo della nostra società con il lavoro e lo studio"

Pmi Day

Le parole hanno un potere enorme. Secondo le neuroscienze, plasmano il nostro cervello e orientano le nostre azioni. Insomma, «le parole sono importanti e bisogna sforzarsi di trovare quelle giuste» diceva Nanni Moretti alla giornalista nel film “Palombella Rossa”.

Quando si parla di lavoro, si usano spesso metafore negative o si fa leva su argomentazioni che lo inquadrano come più o meno conveniente, neanche fosse una qualsiasi merce. Recentemente, il giornalista Ferruccio De Bortolidurante un dibattito, osservava che: «Se si assume un giovane in azienda perché costa poco e perché c’è un incentivo fiscale si trasmette un segnale sbagliato. Il messaggio che passa è che quel giovane non è stato assunto per le sue qualità, ma per il suo costo». È dunque difficile che lo stesso diventi un efficace interprete della cultura d’impresa.

Durante la presentazione del sondaggio effettuato da Confartigianato, che ha coinvolto oltre duemila giovani studenti della provincia di Varese, Benedetto Di Rienzo, presidente di Its InCom, ha ricordato due cose importanti: non si parla abbastanza di lavoro, nemmeno nei luoghi della formazione. E quando se ne parla lo si fa con un atteggiamento sbagliato. «Affermare “se non studi, ti mando a lavorare” – ha detto Di Rienzo – non solo fa percepire il lavoro come un castigo, ma crea una separazione netta tra l’impegno civico di partecipare allo sviluppo della nostra società con il lavoro e lo studio».

Nonostante i padri costituenti abbiano fondato la Repubblica sul lavoro, il Paese reale e la sua classe dirigente sembrano invece piuttosto confusi sul ruolo che spetta a questa componente fondamentale per la vita delle persone. Nel libro “Il lavoro del futuro” (Codice edizioni) l’autore Luca De Biase scrive: «Il sistema economico italiano fatica a occupare i giovani. I motivi sono diversi, ma i numeri sono schiaccianti: milioni di ragazze e ragazzi italiani sono esclusi dal lavoro, dalla possibilità di costruire una famiglia, dalla felicità. Mentre si discutono e deliberano diverse possibili misure, ci si accorge che il sistema italiano è pervaso da singolari disallineamenti operativi e incredibili inefficienze nel mercato».

Emilio Frascoli, console dei Maestri del lavoro della provincia di Varese, federazione che in tutta Italia coinvolge oltre ventimila volontari, è abituato a dialogare con i ragazzi dei valori che contraddistinguono il lavoro e dell’esperienza di una vita vissuta in fabbrica. «Forse un tempo certe frasi sul lavoro erano ancora più radicate nella cultura popolare – conclude Frascoli -. Quando andiamo nelle scuole a parlare con gli studenti, ci rendiamo conto che sono scollegati dal mondo delle aziende e questo influenza il loro immaginario. Se chiediamo a cosa associano la parola “lavoro”, le risposte ricorrenti sono: “fatica” e “routine”. La fabbrica è prima di tutto cultura, passione e ingegno. Ma loro non lo sanno».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 14 Febbraio 2023
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