Matteo Della Bordella, il “Ragno” che collega Varese alla Patagonia
Intervista con l'alpinista che il 6 novembre sarà ospite del festival Glocal Doc al cinema Nuovo. "Il mondo attuale degli Ottomila non fa per me. Casimiro Ferrari fu un grande: è fonte di ispirazione"
C’è un filo rosso che lega l’alpinismo lombardo alle grandi cime della Patagonia. Rosso come il maglione dei Ragni di Lecco, uno dei club alpinistici più famosi al mondo, capaci di tesserlo fin dagli anni Settanta con alcune spedizioni storiche e memorabili. E di riannodarlo anche negli anni scorsi grazie anche (e soprattutto) a Matteo Della Bordella, l’alpinista di Varese che dei Ragni è stato presidente e che in diverse occasioni ha legato il suo nome a pareti leggendarie. (qui il link per prenotare il proprio posto gratuito all’incontro con Della Bordella a Glocal)
Il Fitz Roy, il Cerro Torre, la Torre Egger, il Murallon sono state mete particolarmente amate da Della Bordella, che oggi ha 39 anni e accanto alle proprie spedizioni ha avviato una collaborazione stretta con il CAI per “svezzare” un gruppo di giovani scalatori. Un team che concluderà la propria preparazione sulle Alpi proprio accompagnando – nel febbraio 2025 – Matteo in Sudamerica, sulle cime patagoniche.
Nel frattempo l’alpinista varesino è diventato uno dei protagonisti de “Il ragno della Patagonia”, pellicola diretta da uno specialista dei racconti di montagna, il regista Fulvio Mariani. Il film incrocia l’esperienza di Della Bordella con quella di Casimiro Ferrari, il forte “Ragno” lecchese che fu pioniere delle scalate nel sud dell’Argentina e che ha ispirato le generazioni contemporanee su quelle vie. Lunedì 6 novembre il film sarà proiettato al Cinema Nuovo di Varese, in una serata speciale del Festival Glocal Doc grazie alla collaborazione con la sezione cittadina del CAI e con VareseNews. QUI trovate il trailer e alcune informazioni.
«Sono felice che “Il Ragno della Patagonia” venga proiettato a Varese. Ora vivo in Valle d’Aosta con la mia famiglia ma partecipare alla proiezione nella mia città mi rende contento perché è un film a cui sono molto legato».
Casimiro Ferrari è morto nel 2001: come ha conosciuto e studiato la sua storia e le sue imprese?
«È un personaggio che mi ha molto incuriosito perché purtroppo non ho avuto modo di conoscerlo di persona. Ho letto i suoi diari, i libri, i filmati di cui è stato protagonista: Ferrari rispetto ad altri alpinisti è meno conosciuto al grande pubblico ma è stato una grande fonte di ispirazione per le mie salite in Patagonia. Lui le ha effettuate con una caparbietà e un carattere unici».
Ferrari era un Ragno di Lecco. Quanto è contato per lei entrare a far parte di questo club prestigioso, di cui poi è diventato anche presidente?
«Di sicuro entrare nei “Ragni”, nel 2006, fu per me un passaggio importantissimo, un punto di svolta per iniziare le mie avventure al di fuori delle Alpi. Mi ha permesso di sognare e di poter provare ad andare in Patagonia ed è stato fondamentale per il mio salto di qualità a livello alpinistico grazie anche alle tante persone di grande esperienza che animavano e animano il club».
Di recente è tornato anche in Hymalaya, un “terreno” che non ha mai troppo amato. Si è trattato di una spedizione isolata o sta pensando di affrontare con maggiore continuità anche quelle vette?
«Il mondo degli “Ottomila” non mi ha mai attratto e non lo farà mai, perché lo reputo troppo commerciale visti i numeri e le modalità con cui molte persone lo affrontano. È proprio lontano dal mio modo di concepire l’alpinismo. Per quello quest’anno abbiamo provato a scalare l’Ogre, una montagna di 7.200 metri molto più difficile rispetto agli Ottomila tanto da essere stata soprannominata “Il Settemila impossibile”. La via che abbiamo tentato era stata provata da una trentina di cordate e nessuno, noi compresi, l’ha portata a termine. Però quello è il mio alpinismo, a quote alte ma tecnico e difficile (nel corso di quella spedizione comunque, Della Bordella con François Cazzanelli, Silvan Schüpbach e Symon Welfringer ha comunque aperto una via su un’altra montagna, il Baintha Kabata ndr).
Lei da quasi 4 anni è papà di un bambino, Lio. Come risponde alla celebre affermazione di Enzo Ferrari secondo cui «un pilota perde un secondo per ogni figlio che nasce»?
«Di sicuro essere padre ti cambia nella quotidianità, nei ritmi di vita quando si è a casa, nel scegliere gli obiettivi. Rende più difficile partire per un lungo periodo. Però quando attacchi la via, quando sei dentro alla salita devi vivere il momento e restare concentrato al massimo su quello che stai facendo. Lasci fuori tutto il resto».
Dai bambini ai ragazzi. Come procede il progetto del CAI con il quale sta facendo crescere un gruppo di giovani talenti dell’alpinismo italiano?
«Mi piace molto, è un progetto fighissimo e se ci fosse stato quando io avevo la loro età avrei senz’altro provato ad aderire. Sono 15 ragazze e ragazzi molto motivati ed è bello vederli crescere all’interno del Club Alpino Italiano: è un bel messaggio che manda il CAI stesso. Io sono onorato di gestire e organizzare questo team».
Come si svolge il lavoro?
«Il programma prevede 42 giorni sulle Alpi nell’arco di un anno e mezzo, un periodo che poi si concluderà nel 2025 con una spedizione con me in Patagonia. Quando ci riuniamo, di giorno si scala, si ripetono alcune vie e si studiano tecniche particolari di arrampicata. Oltre a una parte pratica c’è poi quella teorica per preparare i ragazzi a diventare alpinisti professionisti: parliamo di comunicazione, di allenamento, di medicina e di altri argomenti che bisogna padroneggiare. Io di solito scalo con loro e ogni volta coinvolgo o colleghi che hanno già fatto squadra con me oppure alpinisti che conoscono bene le pareti che andiamo ad affrontare».
Per concludere, qual è il suo programma per i prossimi mesi?
«Ho un calendario piuttosto fitto di conferenze e presentazioni a partire dalla proiezione del 6 novembre a Varese. Poi sto lavorando a un secondo libro che ruoterà soprattutto intorno alle esperienze sul Cerro Torre e poi proseguirà il racconto biografico iniziato nel primo volume, “La via meno battuta”. In primavera comunque dovrei ripartire, vedremo con quale obiettivo».
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