“Comunicare di più e meglio il brand Università dell’Insubria, abbiamo eccellenze che lo impongono”
Informatico, arrivato su invito del professor Lanzarone vent'anni fa, Mauro ferrari spiega perchè la fama dell'Università dell'insubria non sia all'altezza della sua reale qualità. E promette di porvi rimedio
Arrivato all’Università dell’Insubria vent’anni fa, convinto dall’offerta del professor Lanzarone, Mauro Ferrari, matematico, dal 2018 è direttore del Dipartimento di Scienze teoriche e applicate e delegato del rettore alla Didattica e all’innovazione.
« Ho scelto l’Insubria per la proposta del professor Lanzarone di dar vita a un dipartimento dove materie scientifiche e scienze umane potessero dialogare. Era un’idea interessante e c’era ampio spazio per progettare, costruire ex novo un’idea di università. Per me, originario di Laveno, era anche un ritorno a casa. Ho avuto la possibilità di veder crescere l’ateneo passo passo, ricoprendo ruoli differenti. Quell’entusiasmo iniziale di chi poteva incidere e lasciare un’impronta è stato decisivo e continua a sostenere il mio impegno quotidiano».
Sono passati 26 anni dal primo giorno dell’Insubria. Cosa è cresciuto attorno?
L’Università c’è ma le città, Varese, Como o Busto Arsizio, non sono ancora città universitarie. A Varese si sono concentrati gli sforzi maggiori dal punto di vista abitativo: un campus, l’hotel City e ora il progetto di studentato diffuso a Biumo. Ma sul piano culturale l’ateneo non ha ancora una posizione nell’immaginario collettivo. Nel territorio manca totalmente la consapevolezza di ciò che si fa e si progetta nelle aule e nei laboratori. Percepisco che il collegamento tra il mondo accademico e il suo territorio di riferimento sia solo formale ed è una mancanza che occorre sanare velocemente, così da essere interlocutori di riferimento e una ricchezza da valorizzare.
E c’è un responsabile per questa situazione?
Secondo me, quello che è mancato in questa governance è stato un progetto di lungo termine. Si doveva partire 6 anni fa a progettare il futuro, come la crescita di spazi, di aule, di biblioteche dell’Ateneo. È stata colta l’opportunità del City hotel che ha aumentato i posti letto. Ma all’interno della crescita generale quei letti erano e sono sufficienti? Servivano davvero? C’è un progetto per una nuova palazzina nell’area di Bizzozero, a che punto è il progetto? E nel frattempo si rimane in aule vecchie con troppi limiti strutturali. È urgente sistemare il patrimonio che abbiamo sia a Varese, sia a Busto sia a Como.
In merito alle missioni di un ateneo, quale impegno può assumersi per i prossimi 7 anni?
Bisogna puntare sulla ricerca perché la ricerca dà reputazione all’ateneo e la reputazione di un ateneo si riverbera su quella dei suoi studenti i cui successi veicolano finanziamenti. Il tema dei fondi è centrale: passata l’onda del PNRR, sarà decisivo ottenere fondi per progetti di ricerca competitivi, per dipartimenti di eccellenza. È una sfida essenziale quella di cogliere le occasioni che si presenteranno perchè dai quei progetti passeranno le risorse per implementare la didattica, per la terza missione, per migliorare le strutture. Se vuoi attirare studenti, devi puntare sull’eccellenza: così si convincono i giovani a seguire corsi per la magistrale, dottorati, specializzazioni. I finanziamenti attirano le risorse migliori che, a loro volta, veicolano ulteriori opportunità anche di tipo tecnologico così tutto il territorio acquista valore. Ma per farlo occorre che il nome dell’Insubria circoli.
Ma oggi il brand “Uninsubria” come si posiziona?
Un nostro difetto, oggi, è quello di non avere un’immagine solida. Abbiamo pregi, eccellenze assolutamente straordinarie, nell’ambito della ricerca o della didattica, veri riferimenti internazionali. E questo è un paradosso: tanto valore così poco conosciuto. Il problema si chiama “comunicazione”. Oggi l’immagine dell’ateneo non circola. In questo momento a Como sono arrivati due vincitori di bandi ERC: hanno deciso di portare sul territorio oltre 3 milioni di euro nel dipartimento di fisica. Sono ricercatori che erano all’estero e hanno voluto rientrare facendo una scelta precisa.
Nel corso di informatica lavora la professoressa Ferrari che è considerata un’autorità a livello mondiale. In ambito medico, abbiamo eccellenze incredibili che coordinano enti scientifici internazionali, hanno progetti con g Boston e il MIT. Barbara Pozzo a Como, di area umanistica, la sua fama è indiscussa in tutti gli ambienti in Italia e all’estero. E potrei continuare. Ma chi sa quanto potenziale esprime l’università dell’Insubria? Evidentemente abbiamo un problema di comunicazione sia all’esterno sia all’interno. Se non raccontiamo, non siamo.
Arrivati a questo punto la comunicazione serve per crescere o per consolidare?
Oggi il numero degli studenti ci colloca tra gli atenei medi. Direi che, dati gli spazi attuali, abbiamo raggiunto il numero adeguato. Se guardiamo al futuro, però, l’obiettivo che ci dobbiamo dare non è tanto quello di crescere ma quello di mantenere. Andiamo incontro a una contrazione degli studenti : si parla di una riduzione del 40% dei ragazzi. La sfida sarà quella di mantenere gli attuali livelli, potenziando i servizi come il tutoraggio tra studenti.
C’è poi tutta un’area sconfinata che è quella dell’interdisciplinarietà. L’idea del professor Lanzarone di far dialogare umanisti e matematici. Vorrei davvero che ci fossero tavoli interdipartimenali dove far sedere esperti diversi, con competenze differenti per trovare il punto di sintesi. Lo vedo nel mio dipartimento dove abbiamo accolto alcune facoltà umanistiche: quante idee vengono semplicemente parlandosi. Noi l’abbiamo scritto nel programma: vogliamo mettere dei fondi sulle iniziative disciplinari. Oggi, purtroppo, in Italia è una scelta perdente perchè i sistemi di valutazione sono molto rigidi e non premiano le collaborazioni. Anzi le penalizzano. Per questo io e Michela Prest vogliano destinare fondi specifici per avviare sinergie tra colleghi di diverse aree.
Il rapporto con il territorio come è?
Sicuramente ci sono buoni rapporti con tutte le amministrazioni. Ma potrebbero migliorare. Noi siamo un partner di valore ma, per poter contribuire alla crescita del territorio, avremmo bisogno di poter contare di più su tutti i partner. Esiste la Consulta Ateneo-Territorio a doppio canale, ove ci si confronta e si creano collaborazioni. Ahimè quella consulta si è riunita una sola volta in sei anni. Io, invece, ne vedo uno strumento essenziale per potersi muovere con una voce sola: il territorio varesino potrebbe presentarsi ai tavoli ministeriali, o regionali o di qualsiasi natura, con una unica posizione forte così, magari, da raccogliere ancora di più.
Il limite, però è anche interno: fino a oggi il nostro ateneo si è mosso singolarmente, senza una visione corale. Si fanno iniziative a Como mia poi non si allargano a Varese. Un dipartimento fa un’iniziativa che rimane confinata al suo interno e ai suoi contatti. Comunicare di più, meglio e in modo corale: gli ultimi due mandati hanno dovuto gestire situazioni gravi come il taglio dei fondi, il blocco del turno over del personale e il covid. Ora si deve ripartire, riallacciando nodi.
Candidata prorettrice con Mauro Ferrari è Michela Prest, 55 anni, fisico sperimentale delle particelle elementari.
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