Tornano i Led Zeppelin, con un doppio album che doveva essere uno e mezzo
Fu l’ultimo grande album del gruppo inglese

A inizio ’75 erano due anni che non usciva un disco degli Zep, che in verità già da inizio ’74 ci stavano lavorando. Ma c’era un problema. Il gruppo infatti aveva inciso 8 pezzi, per una durata di circa un’ora: troppo per un singolo LP e troppo poco per un doppio (sarebbero stati perfetti per un CD ma erano di là da venire). Anni dopo Joe Jackson risolse lo stesso problema con un doppio con la quarta facciata vuota, ma allora non sembrò praticabile. Dai tre album precedenti erano però rimaste fuori diverse outtakes, come addirittura Houses Of The Holy, forse unico caso di title track poi scartata: con queste completarono il doppio album. Detta così sembra un po’ la cena di avanzi di Natale, ma al contrario Physical Graffiti è davvero un grande album, l’ultimo vero grande album dei Led Zeppelin. Disco di una band matura, che senza snaturarsi assorbe, filtra e ripropone tante influenze, dividendo il progetto fra un primo disco più hard rock e un secondo con anche cose diverse. Un ultimo cenno alla copertina – all’epoca una delle più costose in assoluto – dove si riprende l’idea di III con le finestre che propongono immagini diverse.
Curiosità: Boogie With Stu è una jam con Ian Stewart, “pianista esterno” degli Stones, basata su Ooh My Head di Richie Valens, quello della Bamba. Page aveva sentito che, morto Valens, la madre non riceveva le royalties che andavano invece al suo manager, quindi la mise fra gli autori. L’avido manager li denunciò lo stesso, intascando metà della transazione.
La Rubrica 50 anni fa la musica
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