Prodi e il nuovo disordine mondiale: “O l’Europa fa un passo avanti, o con Trump siamo fuori dal giro”
L'ex presidente della commissione Europea è intervenuto in una delle sessioni online dell’Associazione per il Progresso del Paese, fondata dai varesini Alfredo e Lella Ambrosetti

Viviamo in un mondo radicalmente diverso da quello che conoscevamo vent’anni fa: un mondo in cui le certezze vacillano e le alleanze storiche si trasformano radicalmente, cambiando gli equilibri che sembravano solidi fino a poche settimane fa. E l’Europa ha un ruolo importante in questi equilibri, anche se non sembra orientata a reagire con il necessario spirito unitario.
E’ questa l’estrema sintesi dell’intervento di Romano Prodi nella più recente sessione online dell’Associazione per il Progresso del Paese, fondata dai varesini Alfredo e Lella Ambrosetti. Il suo intervento, dal titolo “Il nuovo quadro internazionale: brividi e alternative”, ha offerto un’analisi lucida e preoccupata della situazione globale, senza rinunciare però a uno sguardo di fiducia sul futuro.
Davanti a oltre 120 partecipanti collegati, l’ex presidente della Commissione Europea ha risposto alle domande dei presenti, approfondendo i temi del suo ultimo libro “Il dovere della speranza”, che dà anche il tono al messaggio che Prodi ha voluto lasciare: nonostante le difficoltà geopolitiche ed economiche, è necessario mantenere una visione costruttiva e cercare, al più presto, soluzioni condivise.
Il grande ribaltamento tra USA e Cina
Il suo discorso parte da alcuni dati di grande importanza, che riguardano Stati Uniti e Cina: «La Cina ha circa il 19% della popolazione mondiale ma solo il 7% del territorio agricolo mondiale e scarse risorse energetiche, contrariamente agli Stati Uniti che possiedono, producono ed esportano di tutto – Ha spiegato Prodi – Per questo ha attuato una politica di forte espansione commerciale».
Il risultato è stato un cambiamento epocale: «Solo vent’anni fa, oltre 150 Paesi nel mondo su 200 avevano come primo partner commerciale gli Stati Uniti. Oggi, quella stessa cifra vale per la Cina. E’ un ribaltamento epocale, malgrado gli Stati Uniti restino comunque di gran lunga la potenza militare più forte del mondo». Un rovesciamento di situazione che è la base della nuova politica di Trump, che per questo intende bloccare l’espansione del colosso orientale.
Nel mondo sono tornate le ideologie
A questa situazione si è aggiunto, secondo il professore ed ex premier, anche un ritorno alle ideologie: «Siamo tornati allo scontro di dottrine», afferma Prodi, citando l’Iraq come inizio simbolico di un’epoca in cui gli USA hanno preteso di esportare la democrazia: «Un controsenso, perchè la democrazia si esporta solo con la democrazia».
Nel frattempo, anche la Cina ha sviluppato una visione ideologica: considera l’Occidente in declino e si propone come nuovo leader globale. Donald Trump, infine, ha dato una spallata definitiva alla globalizzazione economica: chiudendo le frontiere, imponendo dazi, rompendo i legami con l’Europa e rivedendo i rapporti con la Cina.
In realtà, sottolinea Prodi, la distanza tra Stati Uniti ed Europa si era già iniziata ad allargare con Obama, che orientava il proprio interesse sempre più verso l’Asia («Per Obama, Copenaghen e Singapore erano la stessa cosa» ha detto Prodi), ed è poi continuata sotto Biden, almeno sul piano commerciale.
«Io ho vissuto nel mito del legame con gli Stati Uniti», ricorda l’ex premier, citando i suoi rapporti con Clinton ma anche con i Bush, visti come interlocutori sinceramente e quasi “naturalmente” europeisti: «Gli atteggiamenti, persino le barzellette ci vedevano come simili, anche se si era di parti politiche diverse».
Ora però, ha spiegato, quel rapporto si è rotto. «Trump ha considerato l’Europa prima come un concorrente, poi come un avversario, ora come un nemico» spiega. L’Europa, che dovrebbe avere un ruolo da protagonista nel mondo grazie alla sua forza economica, rimane invece marginale.
Stati Uniti: dalla globalizzazione all’isolamento
E’ un’evidenza in questi giorni: gli Stati Uniti hanno cambiato radicalmente approccio, anche commerciale, con il resto del mondo. La dottrina che ha sostenuto la globalizzazione dagli anni ’90 in poi — libero commercio, frontiere aperte, produzione delocalizzata — è in corso di smantellamento con l’arrivo di Donald Trump. Dazi, chiusura dei mercati, rottura con l’Europa, ma soprattutto una ridefinizione ideologica della politica estera. Partendo dal “rischio Cina” Trump ha imposto la chiusura delle frontiere americane imponendo dazi, però, anche all’Europa, e rompendo quindi un legame fin qui indissolubile: «Io ho vissuto il rapporto tra gli Stati Uniti e l’Europa, e non pensavo di vivere un tale cambiamento». L’Unione Europea, oggi, è vista più come un concorrente economico che come un alleato strategico.
L’Europa: da grande arbitro a realtà ininfluente
Per decenni, l’Europa ha vissuto nel mito di un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. Un legame culturale, politico e strategico che sembrava indissolubile, ma che ormai si è prima allentato e poi spezzato, con Trump.
Nel frattempo, l’Europa ha perso coesione interna, con pessimi risultati anche all’esterno: «Certamente noi siamo calati di peso – Sottolinea l’ex presidente della Commissione Europea – Se penso che, quando costruimmo l’euro, il presidente cinese si interessò tantissimo alla nuova moneta chiedendo se avrebbe potuto acquistarla come riserva, in una posizione che ci vedeva allo stesso livello del dollaro, mi rendo conto di quanto la situazione sia cambiata. La verità è che durante la grande crisi finanziaria del 2008 ci siamo disuniti, e ancora non abbiamo ripreso un ritmo comune. Col risultato che siamo scomparsi del grande equilibrio mondiale, tanto da meritarci un commento astioso come “L’Europa è un gigante economico, un nano politico e un verme militare”».
Il risultato è che «Trump non vuole trattare con l’Unione Europea: non la nomina, non la riconosce neanche. Sia chiaro: anche Kamala Harris non ha mai nominato l’Europa in campagna elettorale. Non l’ha mai insultata, ma non l’ha nemmeno citata. E questo deriva dalle nostre disunioni».
Eppure, i numeri dicono altro: «L’Unione Europea rappresenta ancora circa il 17% del PIL mondiale, poco meno del 24% degli Usa e la stessa percentuale della Cina, pur avendo un terzo della loro popolazione».
Ma senza una politica estera comune, senza una difesa condivisa, e con il meccanismo del veto tra Stati membri che blocca ogni decisione, l’Europa continua a restare ai margini: «O andiamo avanti e abbiamo un ruolo nel mondo, oppure con la nuova politica di Trump siamo fuori dal giro».
La sfida delle nuove tecnologie
La distanza dell’Europa con le altre potenze mondiali si misura anche sulla frontiera dell’innovazione, che diventa un tema sempre più delicato anche dal punto di vista del controllo. «Quando chiedevo come si poneva l’Europa nei confronti dell’intelligenza artificiale mi veniva risposto che questi studi avevano bisogno di una grande economia di scala, che l’Europa non era in grado di sostenere. Poi si è scoperto che la Cina è stata in grado di sviluppare un progetto molto più economico».
Lo stesso vale per il settore delle telecomunicazioni spaziali: «Il sistema satellitare americano è ormai una rete globale capace di offrire servizi al resto del mondo: pensavo che l’Europa a questo punto accelerasse sul progetto Galileo, e invece non è stato così». In entrambi i casi, il rischio di ininfluenza dell’Europa su questi argomenti di enorme importanza strategica è altissimo.
E adesso?
Il rischio più grande, oggi, secondo Romano Prodi, è l’incertezza. Incertezza strategica, diplomatica, economica. «Ogni giorno viene dato un messaggio diverso: tra notizie vere e fake news, i mercati globali oscillano, e questa incertezza crea un grave danno all’economia mondiale. Quanto la danneggerà lo sapremo solo poi ma, intanto, stanno cambiando le stesse regole del mercato internazionale».
In questo quadro, l’Europa sembra incapace di reagire in modo coordinato: «Io sono abbastanza deluso: mi aspettavo che non ci fosse nella UE solo una riflessione sulle nuove misure commerciali ma anche un senso di maggiore unità su alcuni fatti fondamentali. Mi aspettavo un disegno di ripresa, l’idea di lavorare per rimettersi alla pari con gli Stati Uniti. Non c’è invece su questo tema o sull’intelligenza artificiale questo senso di unità»
Ma: «Non possiamo più limitarci a commentare le mosse degli altri – sottolinea – Dobbiamo diventare protagonisti. Per farlo, serve un’Europa che parli con una voce sola. Altrimenti, nessuno ci ascolterà più».
Una scelta che però è frenata dal vincolo dell’unanimità cui sono sottoposti i voti UE: «L’unanimità poteva avere un senso nell’Europa a 15, ora è un metodo paralizzante. Su alcune scelte si può procedere per cooperazioni rafforzate tra gruppi di paesi pronti a fare un passo avanti, come avvenne, con successo, per l’euro. Solo così l’Europa potrà affrontare le grandi sfide del nostro tempo».
Scelte che ormai sono molto urgenti: «Le sfide che ci aspettano – conclude infatti Prodi – non sono più quelle dei prossimi anni, ma quelle dei prossimi mesi».
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