La kabbala ebraica vendica la storia
A volte la parola fine coincide con la parola vendetta. Il vecchio criminale di guerra nazista non puo' sottrarsi al suo destino. Così racconta Erri De Luca nel libro "Il torto del soldato""
«Non è morta una lingua se anche uno solo al mondo la muove tra il palato e i denti, la legge, la borbotta, l’accompagna su uno strumento a corda». Ed è così che l’yddish, la lingua un tempo parlata da undici milioni di ebrei dell’Europa orientale e «ammutolita dalla loro distruzione», se appena pronunciata può ancora manifestare tutta la sua potenza vitale ed esigere il giusto risarcimento dalla storia.
Al processo di Norimberga non una sillaba yddish fu pronunciata, eppure è stata quella la lingua scelta dal poeta Avram Sutzkever, che di fronte a quel tribunale fu testimone, e da Itzak Katzenelson, che nel campo di concentramento di Vittel, in Francia, nascose il suo Canto del popolo ebreo messo a morte, ritrovato dopo la guerra tra le radici di un albero. In yddish ha scritto Issac Bashevis Singer, che nel grande affresco Di Familie Mushkat (in italiano, La famiglia Moshkat) ha raccontato la storia di una famiglia ebrea di Varsavia dall’inizio del Novecento sino all’invasione tedesca della Polonia.
Il personaggio che occupa il primo tempo del romanzo di Erri De Luca (foto sotto) è uno scrittore, che, come l’autore, ama scalare montagne e parole. In una sera d’estate, in una locanda tra le Dolomiti, consuma il suo pasto rileggendo l’ultimo capitolo della Famiglia Moshkat nella lingua originale. Deve tradurlo in italiano. Rileggendolo, pronuncia ad alta voce la parola èmet, verità, la stessa parola impressa sulla fronte del Golem, la creatura di argilla cui diede la vita il rabbino di Praga, Jehuda Löw. Questa parola, liberata dalle labbra dello scrittore, scuote la coppia che occupa il tavolo vicino.
L’uomo e la donna più giovane, escono in fretta. Sono padre e figlia. Lui è un criminale nazista, fuggito dopo la guerra in Argentina e rientrato in Europa dopo la cattura di Eichmann. Lei scoprirà di essere sua figlia molto tardi: accetterà di rimanergli accanto, osservando quell’uomo irredento, che continua a coltivare la sua ossessione. Il vecchio criminale non accetta il giudizio della storia: «Sono un soldato vinto. Il mio reato è questo, pura verità. […] Il torto del soldato è la sconfitta». Sarà la verità a chiedergli il conto. La potenza della parola, èmet, proromperà dalle profondità della storia e chiederà al vecchio irredimibile di pagare il conto. La sua fuga si arresta nel momento in cui la sua automobile raggiunge la velocità di 190 chilometri orari. 190 è lo stesso valore numerico della parola ebraica «termine» e del verbo «vendicare».
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Erri De Luca
Il torto del soldato
Feltrinelli, 2012
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