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Requiem per la bottega

L'Oasi è chiuso
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2 Luglio 2019

Egregio Direttore, un po’ per familiarità, un po’ per conoscenze accademiche, vorrei esprime un pensiero sulla difficile situazione del commercio al dettaglio.
I negozi, in particolare quelli più piccoli e storici sono in agonia e i casi di eutanasia, dopo inutili proroghe, si moltiplicano ogni giorno.

Ciascuno può recitare il mea culpa, e non parlo dei soli commercianti ma anche di associazioni, amministrazioni pubbliche e fisco (l’assurda astrazione degli studi di settore!). Ma, al di là delle cause intrinseche che hanno portato a questa situazione, non si può non osservare che il mercato ed il concetto stesso di consumo sono cambiati.
Il negoziante, dalla concorrenza di strada o, al più, di provincia si trova oggi a combattere, impari, con colossi e piccoli gregari della vendita online o con smisurati centri commerciali.
Non è raro sentire clienti che accusano i commercianti di “esosità” (uso un eufemismo), paragonando i prezzi dei negozi fisici ai prezzi di quelli virtuali. Magari gli stessi che, con sospetta sicurezza, chiedono di provare il numero di scarpe di un preciso modello ed escono con un ridicolo ‘…ci penso’ (tradotto: vado a casa e completo l’acquisto dal monitor). A tale proposito mi domando se, grazie alle associazioni di categoria, questi negozianti non potrebbero chiedere ai colossi dell’online una partecipazione ai costi di vendita.
La maggior parte dei clienti non si preoccupa nemmeno di osservare questa differenza, tra virtuale e fisico, e pratica, senza uscire dalle mura di casa, l’acquisto compulsivo dietro uno schermo, plaudendo alle decine di offerte al ribasso (è così difficile capire che i prezzi sono quasi sempre legati alla qualità del prodotto?).
Ci sono poi i centri commerciali, soprattutto quelli importanti, nei quali si assiste agli ormai consolidati pellegrinaggi del consumo, dove si entra senza sapere cosa acquistare e si esce senza sapere cosa acquistato.

È innegabile l’importanza di queste tipologie di vendita per la vastità dell’offerta, per i costi veramente attraenti e, con i siti web più famosi, per la rapidità della consegna.
Ma se il classico negozio vuole combattere sullo stesso campo delle vendite on line sarà sempre perdente (e in perdita); i costi per il commerciante, soprattutto in Italia, saranno sempre irragionevolmente sproporzionati e l’offerta limitata dalle dimensioni geometriche dell’attività.
C’è solo una cosa che, credo per almeno altri cinquant’anni, i programmi software non potranno sostituire: il rapporto interpersonale tra cliente e venditore. Gli algoritmi più efficaci riescono, ad esempio mediante analisi di affinità, a proporci abbinamenti per spingerci ad acquisti concatenati. Riescono, più o meno efficacemente, a suggerire articoli basati sui nostri cookies (le nostre identità digitali di consumatori).
Ma quello che, a mio avviso, ancora l’intelligenza artificiale non può sostituire è la figura reale del ‘commesso/a’, un sorriso vero, non un codice binario di un bot.
Per sfruttare questo piccolo tallone d’Achille è però necessario, oggi ancora di più, che il servizio di assistenza alla vendita sia veramente qualificato e sappia dare un importante valore aggiunto all’acquisto.

Un paio di esempi del tutto personali che mi vengono in mente. Nell’elettronica, i venditori nei negozi dovrebbero essere spinti ad allontanarsi, dove possibile, dalle logiche di margine contributivo e proporre un’assistenza alla scelta realmente trasparente ed oggettiva. Nell’abbigliamento, visto il trend attuale e soprattutto futuro, potrebbero, in risonanza con i produttori più attenti, concentrare le informazioni trasmesse sugli aspetti eco-tossicologici ed eco-sostenibili dei prodotti con questo valore.
Secondo il mio parere, chiedere consigli ad un programma e sperare di ricevere risposte valide è, per ora, utopistico. Recarsi in un negozio ed interfacciarsi con una persona che abbia voglia di offrire qualcosa in più di un semplice articolo, ricevendo informazioni significative e coerenti è, già adesso, realmente possibile.
Il Cliente, per essere spinto all’acquisto diretto e non solamente impulsivo, deve poter accedere ai negozi di città in maniera agevole (senza essere demonizzato perché usa un’automobile), deve poter ricevere di più del solo prodotto e deve poter confidare che, ritornandoci dopo un anno, non troverà un bel cartello con scritto “affittasi”.

AM

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