«Da Varese a Montevideo la spesa la faccio in Internet»
Karina è emigrata dall'Uruguay in Italia a causa della grave crisi economica del suo Paese. Oggi ordina la spesa per i propri genitori, rimasti in patria, sul sito di una famosa catena di supermercati. I prezzi però sono salati, come se l'acquisto fosse fatto in Europa
«Benvenuti nel supermercato virtuale. Regala un buono spesa per i tuoi famigliari». La scritta è in spagnolo e compare su uno dei tanti siti Internet dei supermercati uruguayani, nati dopo la grave crisi economica che ha colpito il Paese. La proposta è rivolta però a chi se ne è andato via a cercar fortuna in Europa, in Canada o in America. Come Karina Gasco Gomez, trentenne antropologa di Montevideo, approdata in Italia da quattro anni prima per studio e poi per amore. Dalla sua casa di Corgeno, sulle rive del lago di Comabbio, si collega ad Internet e cliccando sui vari prodotti fa arrivare nella casa dei suoi genitori a Montevideo beni di prima necessità. «Tutto è iniziato mentre navigavo sul sito di un giornale che pubblicizzava questo supermercato virtuale. Mi sono registrata e da allora ho comprato di tutto, dall’olio di oliva alla carta igienica, dalle lamette alla schiuma da barba. Pago con la carta di credito e quando la spesa viene recapitata ai miei genitori gli fanno firmare un’altra ricevuta a garanzia del pagamento, nel caso che la carta non sia valida o che l’ordine non provenga dall’estero, ma da chi vive ancora in Uruguay».
I prezzi non sono convenienti, perché vengono applicati in euro e in dollari, come se l’acquisto fosse fatto in Europa o in Canada. Prezzi inavvicinabili per chi risiede in Uruguay, ma alla portata di chi è emigrato nei paesi ricchi.
La famiglia di Karina appartiene alla piccola borghesia di Montevideo: il padre tassista, la madre sarta, due figlie una laureata, l’altra diplomata. Una vita dignitosa, serena, fino alla recente crisi argentina che ha fatto sentire subito i suoi effetti sul vicino Uruguay: stipendi dimezzati, banche chiuse e inflazione impazzita. E così l’immagine del piccolo Paese, che aveva costruito la propria identità forte sulla vittoria al Mondiale del 1950 contro il Brasile stellare e sulla rivendicata paternità del tango e del mitico Gardel, svanisce insieme al potere d’acquisto dei suoi pesos.
«L’Uruguay ha vissuto su un mito in buona parte creato: il Paese più bianco, dove il problema degli indios non esiste, il Paese dove è nato un polo ospedaliero e universitario all’avanguardia e dove la salute e l’istruzione pubblica sono le migliori del Continente. Il Paese è cresciuto girando le spalle all’America Latina. Un’immagine di successo che ha fatto sviluppare un’economia basata sul terziario avanzato e la finanza: banche, uffici, ristoranti e alberghi. Questa crisi economica ha creato una frattura profonda con il passato, mettendo a nudo la debolezza dell’Uruguay».
Quello della spesa su Internet è ormai diventato un business curatissimo dai supermercati di Montevideo, perché il 30 per cento delle richieste on line proviene dagli emigranti che portano valuta pregiata e fresca nelle loro casse. Il piatto è, dunque, allettante e l’offerta si è allargata, tanto che oggi si possono comprare le medicine ed è possibile mandare ai famigliari oltre alla spesa anche una foto, basta allegare un file alla mail. A stamparla e a recapitarla, insieme all’insalata e al riso, ci pensano i commessi del supermercato. «Mio padre guadagna 6500 pesos al mese e con quei soldi ce la fa per quindici giorni. Il prezzo della carne, l’alimento più consumato in Uruguay, è triplicato, arrivando fino a 150 pesos al chilo. Adesso sui supermercati virtuali sono comparsi anche i prodotti tipici per gli uruguayani all’estero, come la yerba-mate, la bevanda nazionale, con tutta l’attrezzatura per berla. I supermercati hanno capito che chi è partito è una ricchezza, più di chi è rimasto».
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