La lunga storia del “Codice Atlantico”
Al Rotary La Malpensa don Alberto Rocca della Veneranda Biblioteca Ambrosiana ha raccontato l'affascinante storia del codice leonardesco
Il 2009 è l’anno della sfascicolatura del Codice atlantico. 1119 fogli raccolti in 12 volumi costituiscono la più ampia raccolta di disegni e scritti di Leonardo Da Vinci. Ne ha parlato ieri al Rotary Club “La Malpensa” don Alberto Rocca, figlio del socio Francesco e dottore della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, là dove appunto è conservata la preziosa opera. «Stiamo procedendo – ha dichiarato – ad un intervento di smontaggio e rimontaggio che interessa il supporto e non va a toccare le carte originali». Si tratta di togliere la dorsatura e sciogliere quelle colle a base di cloruro di mercurio applicate nel periodo 1962-1972, quando il Codice fu assemblato dal volume unico ai dodici attuali attraverso un lavoro di taglia e incolla. «Una scelta non certo geniale quella fatta a quel tempo – ha commentato don Rocca – anche se in nessuna epoca esiste una tecnologia in grado di garantire una perfetta conservazione a distanza di decenni oppure secoli».
Il corposo manoscritto, che fu depredato da Napoleone nel 1796 e restituito nel 1815, porta il nome di Codice atlantico a causa della dimensione (64,5 x 43,5 cm) propria degli atlanti. «Nulla quindi a che vedere – ha sottolineato il relatore – con le fantasie inventate da Dan Brown nel suo libro». Ma schizzi e appunti di qualsiasi tipo che Leonardo Da Vinci aveva l’abitudine di annotare sul taccuino che portava sempre con sé avevano rischiato di andare persi tempo prima quando il patrimonio e i possedimenti dell’artista erano stati lasciati alla morte, nel 1519, a Francesco Melzi e nel 1570 erano passati al figlio di questi Orazio. Il quale senza accorgersi se li era visti asportare in parte dal precettore di famiglia, e una volta riottenuti li aveva dispersi in regali.
È solo grazie all’impegno e alla tenacia di Pompeo Leoni se vennero successivamente recuperati, radunati e organizzati in due faldoni: il primo contenente 640 disegni riguardanti anatomie umane, il secondo con oltre un migliaio di bozzetti sulle arti segrete e le macchine. «Così come Leonardo era un attento studioso e precursore della fisiognomica dell’uomo – ha spiegato il sacerdote – allo stesso modo era un genio ed inventore straordinario che difficilmente avrebbe potuto realizzare i progetti con la tecnologia esistente». Inoltre, ha aggiunto, «egli era più un ingegnere militare che un pittore», dal momento che si trasferì a Milano proponendosi di realizzare ad esempio strumenti di offesa come bombarde oppure di difesa come bastioni.
Quest’ultima raccolta (l’altra è finita in Inghilterra «pagata e non rubata come nel caso dei francesi») è quella acquistata da Galeazzo Arconati per circa 3000 ducati ispanici («oggigiorno sarebbero diversi milioni di euro») e poi donata all’Ambrosiana nel 1637. Ciò significa, ha concluso, che già allora «la Biblioteca godeva tra i milanesi di uno status di rispettabilità» tale da poter giustificare un simile dono.
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