Cercavamo un lavoro e abbiamo trovato l’inferno
Il racconto in aula dell'ultima donna vittima di Gennaro Accarino. La giovane sarebbe stata costretta ad intestarsi un bar per conto del malvivente fagnanese tra minacce di morte e violenze nei confronti della madre

Il sogno di avere un’opportunità di lavoro attraverso un pregiudicato che non poteva intestarsi il locale si è presto trasformato in un vero e proprio incubo che aveva un nome e un cognome: il 45enne Gennaro Accarino che questa mattina (lunedì) era in aula per il processo in cui è imputato di estorsione e trasferimento fraudolento di valori.
Tatuaggi in vista, maglietta del Varese, atteggiamento sprezzante e a tratti nervoso è convinto di avere ancora nelle sue mani le donne a cui ha reso la vita impossibile (qui una sua biografia criminale). Per questo si è reso necessario posizionare un paravento che evitasse incroci di sguardi che avrebbero potuto creare soggezione.
A raccontare la vicenda è la giovane ultima vittima, insieme alla madre, del malvivente di Fagnano Olona noto in tutta la zona per aver commesso numerosi furti, minacce, spaccio, aggressioni, incendi per i quali sta scontando diversi anni di carcere. Il racconto della giovane in aula, questa mattina, ha ripercorso il periodo di 3 mesi in cui tutta la sua famiglia si è ritrovata a subire le minacce di morte, rapimenti, le percosse e anche una violenza sessuale.
Insieme alla madre (nel luglio 2015, ndr) si era fatta convincere ad accettare la proposta di intestarsi un bar a Fagnano Olona per conto del pregiudicato, impossibilitato dalle numerose condanne inflittegli negli anni dalla giustizia. Incalzata dalle domande del pubblico ministero Luigi Furno la ragazza ha spiegato la decisione come «una opportunità per poter lavorare».
Di fronte a questa situazione di debolezza il malvivente non si è fatto alcuno scrupolo e ha cominciato a considerare cosa sua sia la madre che la figlia, arrivando al punto di costringerle a rimanere giorno e notte nel locale, durante i lavori di ristrutturazione: «Con me non era prepotente, stava abbastanza attento anche se era evidente la facilità con cui si arrabbiava – ha raccontato al collegio presieduto dal giudice Maria Greca Zoncu – solo dopo qualche mese mia madre mi ha raccontato degli episodi di violenza verbale e fisica nei suoi confronti».
Accarino, infatti, era geloso della donna e le impediva di tornare a casa, costringendola a dormire nel bar senza poter vedere nessuno. Alla violenza verbale, dopo qualche settimana, si era aggiunta quella fisica, condita da spintoni, lanci di coltelli, minacce con la pistola.
Quando la donna si è decisa a raccontare tutto alla figlia questa ha deciso di tirarsi indietro e di non firmare più l’atto notarile, a pochi giorni dall’appuntamento col notaio: «A quel punto Accarino ha attirato mio padre e mio zio in una trappola fingendo di invitarli a cena e chiedendo di portare anche mio fratello di 15 anni, fortunatamente mio padre ha pensato bene di andarci solo con mio zio– ha raccontato la giovane che poi ha proseguito -. Invece di andare al ristorante li ha portati in una casa nei pressi di Fagnano e li ha minacciati pesantemente con una pistola che sbatteva continuamente sul tavolo, dicendo che avrebbe fatto del male a tutta la mia famiglia se non avessi firmato l’atto».
La giovane, spaventata dal racconto del padre, ha deciso di assecondare la volontà del malvivente ma subito dopo la firma i carabinieri della stazione di Somma Lombardo, coordinati dal maresciallo Michelangelo Segreto, sono intervenuti mettendo fine all’incubo di un’intera famiglia.
Durante gli interrogatori in procura, infine, la giovane è venuta a sapere anche della violenza sessuale nei confronti della madre: «Mia madre mi ha rivelato questo episodio quando siamo stati chiamati dal pubblico ministero a testimoniare – ha detto tra le lacrime – questa vicenda ci ha causato moltissimo dolore. In fondo sognavamo solo di avere un’opportunità per lavorare».
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