La storia della pensione in Italia: dall’Unità ai giorni nostri

Dall'Unità d'Italia fino all'attuale sistema della "Quota 100", oggi vedremo come l'evoluzione della legislazione ha plasmato il panorama previdenziale del nostro Paese

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La pensione, ovvero il sistema di protezione sociale che assicura un reddito ai lavoratori in età avanzata o in situazioni di invalidità, ha subito nel corso degli anni una serie di cambiamenti normativi nel nostro Paese. Dall’Unità d’Italia fino all’attuale sistema della “Quota 100”, oggi vedremo come l’evoluzione della legislazione ha plasmato il panorama previdenziale del nostro Paese, subendo anche le influenze dell’aumento dell’aspettativa di vita. Se questo argomento interessa e si vuole conoscere la propria situazione previdenziale, compresa una stima di tempi e cifre della propria pensione, è possibile chiedere un calcolo preciso ad esperti del settore, come quelli di MiaPensione.

Il Regno d’Italia

Nel Regno d’Italia, alla fine del XIX secolo, venne introdotta la prima forma di tutela previdenziale con la legge n. 350del 17 luglio 1898. Questa legge istituì le pensioni di vecchiaia per gli operai, permettendo loro di ottenere una rendita vitalizia a fronte dei contributi volontari versati in una Cassa Nazionale di previdenza. Nel 1919, con il decreto legge n. 603, l’assicurazione pensionistica divenne obbligatoria e si allargò a diverse categorie sociali, dando origine alla Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali (CNAS), gestita da enti pubblici.

Il periodo fascista e la Repubblica

Durante il periodo fascista vennero apportate alcune modifiche al sistema previdenziale. Nel 1923, con il regio decreto n. 3184, l’assicurazione pensionistica divenne obbligatoria solo per i dipendenti tra i 15 e i 65 anni. Successivamente, nel 1935 e nel 1937, furono introdotte normative per perfezionare meglio la previdenza sociale e riconoscere giuridicamente la “Cassa Nazionale di Assistenza per gli Impiegati agricoli e forestali” (CNAIAF), per la previdenza dei lavoratori agricoli. Nel 1939, infine, l’età per accedere alla pensione di vecchiaia venne ridotta a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne.

Con l’avvento della Repubblica Italiana la storia normativa della pensione subì ulteriori modifiche. Nel 1952 fu introdotta la pensione minima con la legge n. 218 del 4 aprile. Nel 1957, con la legge n. 1047, l’assicurazione per invalidità e vecchiaia fu estesa ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni. Nel 1981, infine, fu introdotto il prepensionamento con l’art. 37 della legge n. 416.

Le riforme successive fino ai giorni nostri

Negli anni a seguire il sistema pensionistico ha subito una serie di modifiche fondamentali. Per esempio nel 1983 la riforma De Michelis introdusse limiti e regole per i versamenti dei contributi pensionistici dei lavoratori agricoli. Nel 1992, invece, la riforma Amato innalzò gradualmente l’età pensionabile per le pensioni di vecchiaia. La riforma Dini del 1995, inoltre, introdusse il sistema contributivo e stabilì nuovi requisiti per l’ottenimento della pensione per i lavoratori di attività “usuranti”.

Successivamente, con la riforma Maroni del 2005, si diede la possibilità al lavoratore di destinare il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR) a forme pensionistiche complementari. La riforma Prodi, avvenuta tra il 2007 e il 2009, introdusse le “quote” per l’accesso alle pensioni di anzianità e aggiornò i requisiti anagrafici per il pensionamento in base all’aumento della speranza di vita.

Nel 2011 la riforma Fornero portò all’estensione del metodo “pro rata” a tutti i lavoratori e all’aumento dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia per lavoratrici dipendenti e autonomi, nonché all’innalzamento dell’età pensionabile per i lavoratori del settore privato a 66 anni.

La riforma Quota 100

Infine, nel 2019, con il Decreto Legge n. 4 del 28 gennaio, fu introdotta la riforma “Quota 100“. Questa misura consentiva l’accesso a una pensione anticipata limitatamente nel triennio 2019-2021. Con la Quota 100, i lavoratori potevano andare in pensione anticipata qualora avessero raggiunto 64 anni di età e versato almeno 38 anni di contributi.

Per concludere si può notare come il sistema pensionistico sia soggetto a continui cambiamenti dovuti all’innalzamento dell’aspettativa di vita, all’inflazione e ai grandi stravolgimenti che hanno interessato il mercato del lavoro e la demografia del Paese. Conoscere la propria situazione è fondamentale per prendere decisioni informate e avere maggior consapevolezza cir

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Pubblicato il 27 Luglio 2023
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