L’auspicio: «una struttura regionale più vicina al cittadino»

Inaugurazione del Pirellino. L'intervento del consigliere regionale Adamoli

Riceviamo e pubblichiamo
L’inaugurazione di oggi è un atto importante, formale. Importante per il fatto in sé ma anche perché riunisce molti amministratori e rappresentanti delle nostre comunità locali. Desidero utilizzare questa occasione per dire qualcosa non di semplice circostanza. Non credo che io sia stato invitato a prendere la parola per uno scopo solo celebrativo. A questa funzione hanno già adempiuto l’Assessore ed altri colleghi. Credo perciò di poter fare qualche valutazione sulla istituzione regionale, sul suo rapporto con le autonomie territoriali, naturalmente tenendo conto della qualità, del carattere di questa occasione.

L’atto che stiamo compiendo oggi cade in un momento di profonda trasformazione dell’istituto regionale, trasformazione che è stata espressa in tre scansioni molto precise:

  1. la Legge 1/99 che ha deciso, in via transitoria, l’elezione diretta del Presidente della Regione e che ha dato origine ad una sorta di presidenzialismo, che è variamente qualificato e giudicato dalle diverse forze politiche e sociali;
  2. il nuovo titolo V della Costituzione, approvato dal Parlamento e confermato da un referendum popolare un anno fa;
  3. l’elaborazione del nuovo Statuto regionale, secondo un potere conferito alle regioni dalla Legge 1/99.

E’ certamente una trasformazione più profonda e più vasta di quella promossa dai Decreti Delegati dei primi anni ’80 che avevano dato corpo e sostanza alla regione che abbiamo conosciuto fino ai giorni nostri.

E’ una trasformazione che dovrebbe segnare una vera e propria stagione costituente e non solo per chi opera in Regione. La domanda che pongo è se vi sia uno spirito costituente in Lombardia. La domanda per me, per le cose che dirò, è piuttosto retorica. Perché la pongo in una sede come questa? Perché lo spirito costituente non dovrebbe coinvolgere soltanto il Consiglio Regionale, le forze sociali nella loro rappresentanza regionale, i partiti politici regionali e così via. Dovrebbe in qualche modo interessare e riguardare anche le rappresentanze delle istituzioni locali. Per alcune chiare ragioni. Intanto il dibattito sullo Statuto non può concernere solo la forma di governo – presidenzialista, neoparlamentare, parlamentare – e le conseguenti regole elettorali per il Presidente e l’Assemblea. Decisioni peraltro fondamentali per tutte la società regionale.

Vi è una motivazione perfino più importante che concettualmente viene prima della forma di governo.

La Regione, come io personalmente e molti di noi la considerano, non rappresenta i rami bassi dello Stato, ma invece la parte alta del sistema delle autonomie. Alta non per gerarchia costituzionale, ma per la vastità e complessità della sua rappresentanza democratica e delle sue funzioni, che sono quelle tipiche di una grande autonomia territoriale.

Questo è il punto vero. Ossia quale Regione vogliamo che sia la nostra nei prossimi decenni? Io sono per una Regione che fa legislazione, programmazione, alta amministrazione, ma solo alta amministrazione. Tutto il resto dell’amministrazione appartiene, non viene concesso o delegato, appartiene alle altre autonomie locali.

Oggi tutto ciò si chiama sussidiarietà, secondo un’espressione introdotta ufficialmente, per la prima volta, nelle "carte" dell’Unione Europea. Al di là del nome si tratta di applicare il principio costituzionale, che il nuovo titolo V chiarisce in via definitiva, secondo il quale la funzione amministrativa appartiene al Comune, poi alla Provincia, ed infine alla Regione quando, e solo quando, la dimensione della materia e dei problemi trattati, necessariamente lo richiedono.

Il problema da risolvere non è tanto quello della predicazione di questo principio, fin eccessiva e propagandistica qualche volta, quanto della sua corretta e concreta applicazione.

Siccome non voglio polemizzare in questa particolare occasione, ma solo puntualizzare, con volontà costruttiva, per meglio affrontare il dibattito culturale e istituzionale intorno allo Statuto e al rapporto fra Regione ed altre autonomie, pongo qualche problema in forma di esempio e di domanda.

Lo faccio con lo sguardo rivolto al futuro, cercando di essere problematico e lieve. In modo ultra sintetico; l’introduzione del buono scuola per tutta la Lombardia è decisione che deve essere assunta naturalmente a Milano. La gestione che ne viene fatta a Milano rispetto a quel principio di sussidiarietà è appropriata o no? Oppure non sarebbe consequenziale a quel principio che una tale funzione venisse esplicata, con la libertà che in quel principio è insita, a livello delle istituzioni locali?

Secondo caso, le ALER e cioè gli Istituti che gestiscono l’edilizia pubblica, e quindi enormi patrimoni edilizi accumulati nelle comunità locali e per le comunità locali, ebbene, è giusto che questi Istituti siano considerati Enti strumentali della Regione come si è voluto decidere qualche mese fa o è più corretto che siano e restino espressione delle comunità locali? Cioè è giusto che siano trasformati da Enti a guida comunale e provinciale ad Enti espressione della Regione e per di più della sua maggioranza politica?

Terzo esempio molto attuale, e proprio per questo non voglio entrare nel merito perché è materia scottante di questi giorni. È coerente con la sussidiarietà che le IPAB fra qualche tempo si ritrovino il Presidente scelto a Milano, anziché scelto liberamente nei Comuni, come è avvenuto fino ad oggi?

Per queste ed altre ragioni, l’attuale fase costituente non può non investire la sensibilità, l’interesse e la cultura di governo dell’intero sistema delle autonomie locali. Desidero solo che si ragioni su queste tematiche senza pregiudiziali, ideologiche con calma, con serenità. Le istituzioni sono davvero patrimonio comune. Che si ragioni con calma, ma che ad un certo punto si concluda. Se la Convenzione europea ci metterà un anno, un anno e mezzo, a consegnare una proposta di trattato costituzionale per l’Europa, non credo che noi possiamo impiegarci tre volte tanto per lo Statuto regionale.

Ho finito. Se prevale l’una o l’altra filosofia, di quelle che ho sommariamente delineato, anche questa struttura potrà avere due significati diversi. Io vorrei che questa fosse la sede per l’incontro della Regione con i cittadini, con gli interessi diffusi, con gli Enti locali. Sapendo che per la Costituzione la Regione non è gerarchicamente sovraordinata rispetto a Comuni e Province. In sostanza vorrei che questa struttura non sia una sentinella altezzosa e occhiuta del potere regionale, una sorta di prefettura senza prefetto, la prefettura di una volta intendo dire.

Vorrei invece che rappresentasse l’offerta di un servizio regionale che si colloca più vicino al cittadino e che non si sovrappone alle funzioni amministrative che debbono essere esercitate dall’insieme delle istituzioni locali.

Se questo sarà lo spirito, come molti di noi si augurano, questa sede e il suo costo economico saranno stati un prezzo, sì, molto alto, ma utile per la nostra provincia e per la regione.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 29 Novembre 2002
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