ELOGIO DELLA (FOTO)GRAFIA
Di Sandro Sardella
La novità / al Pantano della Croce /
È che i ragazzini / si nutrono di luce.
(Chiquo Buarque)
Chi conosce Peppe Piccica?
Solo i postali? Solo i pittori? Solo i poeti? Alcuni per soggezione, altri per rispetto, altri per stima lo ammirano. Ma lo capiscono poi?
Grande appassionato di fotografia (la sua grande stima per Scianna, Basilico, Cartier Bresson, Giacomelli, …), il suo sogno era di diventare un fotografo ed eccolo nella sua Sicilia a fotografare i funerali, le processioni, i paesaggi, i volti, temi dei quali conserva archivi sterminati ed inestimabili.
Quello che il suo impietoso obiettivo cattura e ferma diviene materiale per la sua maniacale laboriosità: a matita o con pennino , su carta di cotone, “riprende” processioni, volti e paesaggi togliendo loro gli elementi che lo disturbano, ma mantenendo una fedeltà riproduttiva impressionante. Ad uno sguardo poco attento possono di prima sembrare delle acqueforti, mentre sono pezzi unici, preziosi manufatti che nel loro rigoroso bianco & nero si nutrono di luce e nutrono l’occhio curioso ed attento.
Nei primi anni ’90 il suo arrivo a Varese per lavoro e la sua inquietudine incontra i folti boschi delle Prealpi. Le carte di Peppe Piccica cominciano ad animarsi con le cortecce, i grovigli delle radici, le chiome frondose. Ma, per il Nostro c’è anche il dover fare i conti con gli inesorabili meccanismi della civiltà industriale ed ecco i cimiteri con cataste di carcasse di automobili.
L’originaria “civiltà contadina” si cortocircuita con “l’era della rottamazione” e con l’illusione bugiarda della pubblicità. La rabbia e il sarcasmo escono come lava vulcanica nel riprendere-riprodurre-correggere aggiungendo scritte rosse una lunga sequenza di manifesti del totip nella metropolitana milanese.
Nel tempo rubato alla stanchezza e alla noia del quotidiano, nel suo disagio fisico e nella distonia verso questi tempi Beppe Piccica nella raffinatezza del suo di-segnare come meteora è apparso in una breve intensa antologica nella sede dell’associazione culturale “Il Cavedio” a Varese nei giorni 8 – 9 – 10 ottobre 2004.
Un gesto carico di appassionata vitalità che, nella fatica del vivere, lancia una paradossale sfida alla perenne fretta d’ogni giorno,d’ogni incontro, d’ogni gesto.
E’ un lavorare con lentezza ma con reattori solari.
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