L’isola di Pasqua, il Montana e l’orto di casa

L’Isola di Pasqua è un triangolo vulcanico largo 9 miglia e distante 2.300 miglia dalla costa del Cile e 1.300 dall’isola Pitcairn (quella degli ammutinati del Bounty, per intenderci). Qualche canoa adatta ai viaggi marini deve esserci arrivata dalla Polinesia, si presume intorno all’anno 900 D.C.. L’isola era coperta di foreste con grandi alberi, abitata da grossi uccelli non volatori e vi nidificavano numerose specie di uccelli marini. I primi visitatori portarono piante di patate dolci, taro, banane, canna da zucchero e galline. Nei primi tempi la dieta dei nuovi coloni era ricca di proteine: delfini e tonni dal mare, grossi uccelli non volatori dai boschi. La popolazione crebbe e si divise in undici o dodici clan ognuno situato in una fetta di isola con un fronte al mare. Il suolo, ricco di humus delle foreste, consentiva un surplus di produzione agricola con il quale poté essere mantenuta una classe di capi e di sacerdoti. I capi vollero competere fra loro in segni di prestigio, e si fecero costruire (il surplus agricolo permetteva di nutrire gli artigiani e i manovali che si dedicavano all’opera) le grandi e famose statue monolitiche, alte fino a 10 metri e pesanti fino a 87 tonnellate. Era una gara a chi le aveva più alte, un po’ come le torri di San Giminiano in Toscana. Tutti i grandi alberi vennero tagliati per costruire case, per trasportare le statue, per scavare canoe, per riscaldarsi nei freddi inverni. Gli uccelli locali sterminati, la pesca non più praticata senza grandi canoe, l’agricoltura in crisi per il dilavamento del terreno e il cambiamento del clima a seguito della deforestazione. La pacifica competizione riguardo la grandezza delle statue si trasformò in cruenta guerra di clan, il cibo vegetale scarso, le proteine animali fornite ormai solo da topi giunti a bordo delle prime canoe, da qualche gallina e da cannibalismo. Dei 15.000 o 30.000 abitanti stimati ne rimanevano, dopo che l’isola fu scoperta dai navigatori europei nel 1700 e dopo alcune conseguenti epidemie di vaiolo e la tratta in schiavitù di 1.500 isolani nel 1862-63 da navi peruviane, non più di 2.000, esseri denutriti e malaticci.
Tutto ciò è inquietante. L’isola di Pasqua non aveva avuto contatti con il resto del mondo per circa 800 anni. In questo periodo l’uomo era riuscito a distruggere, disponendo solo di strumenti di pietra, il suo habitat e la sua economia, ed era piombato nella più orrenda miseria e barbarie. Viene spontaneo di formulare un parallelo tra l’isola di Pasqua e la terra. Nel mondo, grazie alla globalizzazione, i vari paesi si dividono le risorse e si influenzano reciprocamente proprio come la dozzina di clan dell’isola. L’isola era isolata nel mondo, il mondo è isolato nel cosmo.Quali saranno gli esiti?
Un altro esempio più vicino nel tempo e nello spazio, relativo a un territorio non isolato. Lo stato del Montana negli USA, al confine con il Canada, aveva paesaggi bellissimi, foreste popolate di cervi e alci, fiumi ricchi di pesci, ampie vallate con vasti pascoli cinte da alte montagne innevate, fattorie con grandi terreni intorno, un sottosuolo ricco di minerali pregiati, rame e oro. Un paradiso di ricchezza e di bellezza. L’economia era basata su tre principali attività: industria mineraria, industria boschiva, agricoltura con allevamento del bestiame. L’industria mineraria, ora non più praticata, lasciò i terreni inquinati da residui tossici di rame, arsenico, cadmio, zinco, solfuro di ferro che genera acido solforico; essi non furono mai più bonificati perché l’opera sarebbe stata troppo costosa e gli acidi continueranno a spurgare per un tempo indefinito. L’industria boschiva ridusse drasticamente le foreste con conseguenti cambiamenti climatici e erosione dei terreni. L’erosione e l’inquinamento dei terreni danneggiò l’agricoltura e l’allevamento. I prezzi dei prodotti agricoli e del bestiame rimasero costanti mentre i prezzi dei terreni salirono per le terze e quarte case dei residenti di altri stati lì attirati dalle bellezze dei luoghi (qualcosa come la Costa Smeralda in Sardegna). Socialmente v’è tensione fra i vecchi residenti ed i ricchi nuovi venuti, i giovani vanno altrove e il Montana sarebbe al collasso senza gli aiuti dello Stato federale. Esso sopravvive perché non è situato a 2300 miglia dal continente più vicino, ma le iniziative economiche e l’opera dell’uomo hanno fatto tutto il possibile per distruggerlo.
Ho tratto le informazioni dal libro (traduco il titolo originale) “Collasso, come le società scelgono di fallire o di avere successo” di Jared Diamond, professore di geografia alla Università di California a Los Angeles, autore anche di “Armi, acciaio e malattie” tradotto in italiano e pubblicato da Einaudi, che gli è valso il premio Pulitzer.
Sono appena ai primi capitoli, e sono angosciato e scoraggiato. Come possiamo essere tanto ciechi e imprevidenti? Quale destino ci attende dunque?
Ma Diamond mi ha tranquillizzato. Dice che vi sono anche aspetti a nostro favore e che ne parlerà nell’ultimo capitolo del libro, a pagina 486. Devo ancora arrivarci, e poi forse mi rasserenerò. E vi saprò dire.

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Pubblicato il 30 Aprile 2005
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