Il carcere è una “scala mobile”: qui abbiamo una nuova opportunità

Varesenews ospita le riflessioni di alcune persone detenute nell'istituto di Busto Arsizio sulla mostra sulla rieducazione allestita al Tribunale di Varese




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I redattori di Mezzo Busto – L’organo di informazione del carcere di Busto, dopo aver saputo della mostra sulla rieducazione in carcere inaugurata venerdì 23 maggio al Tribunale di Varese, hanno deciso di scrivere per Varesenews alcune riflessioni sull’inziativa. Così come ha già fatto in passato, Varesenews ospita il loro articolo.

Cos’è il carcere? È questa la riflessione che è nata nella redazione di Mezzo Busto (il giornale del carcere di Busto) quando alcuni educatori ci hanno informato dell’inaugurazione prevista per venerdì sera della mostra “Libertà va cercando ch’è s’ cara. Vigilando redimere” al Tribunale di Varese. Come redattori del giornale ci è sembrato importante intervenire con le nostre riflessioni e sfruttare l’opportunità che Varesenews ci ha dato di pubblicare i nostri articoli. Noi, per ovvie ragioni, non potremo visitare la mostra, ma dato che i protagonisti dell’evento siamo “noi” – ovvero persone che vivono la nostra stessa situazione – ci sembra nostro diritto e dovere dire la nostra su questo tipo di iniziative, ma soprattutto sui percorsi di rieducazione in carcere. Dato che le riflessioni che sono uscite in redazione sono tante e diverse, abbiamo deciso di dare voce a ciascuno di noi.

Maurizio – Il carcere, a mio modo di vedere, è un luogo dove si deve scontare la pena, ma anche riflettere sui propri errori con l’obiettivo di migliorare. Busto Arsizio è un istituto con meno risorse rispetto ad altri, ma è un luogo dove, se si è disposti a mettersi in gioco, non mancano le opportunità per studiare, lavorare e svolgere attività culturali ed educative che aiutino il recupero sociale della persona.

Daniel – Nell’opinione pubblica il detenuto è solitamente il “delinquente” che ha commesso un reato e che va punito. Tante volte ci si dimentica invece che è anche un figlio, un padre, un marito, un fratello. Insomma, una persona. Una mostra come quella di Varese è un’ottima opportunità per cercare di far conoscere un aspetto diverso della vita di un recluso. È una persona che ha sbagliato, ma che va accompagnata in un percorso di recupero per il bene suo e dell’intera collettività. Il detenuto infatti, una volta scontata la pena, viene rimesso in libertà. Quindi, secondo me, è meglio che esca una persona diplomata, laureata o con una qualifica che consenta di trovare lavoro, piuttosto che un individuo che per mesi o per anni è rimasto rinchiuso in una cella dimenticando la vita da libero cittadino.

Cristian – La mia opinione, in base all’esperienza che ho vissuto qui, è che anche il carcere può essere una “scala mobile” dove ognuno sceglie come comportarsi e quale percorso affrontare. Nonostante l’istituto di Busto sia piccolo, anche qui vengono organizzate varie attività. Fra queste ho potuto partecipare a due esperienze sicuramente particolari come il laboratorio di arte-terapia da cui è nato un libro di fiabe e il giornale.

Andrea – Credo che la mostra sia una buona opportunità per far vedere che chi è recluso può comunque mettersi in gioco con se stesso. L’esperienza in carcere mi sta aiutando a rivedere il mio modo di relazionarmi con le altre persone. Non che prima avessi difficoltà, ma sicuramente all’interno di un confronto a volte mi lasciavo andare a comportamenti non adatti al vivere civile. Di certo oggi ho più pazienza e più “bontà d’animo” di prima.

David – Non so se in molti visiteranno la mostra. Sicuramente tanti preferiscono tenersi lontano da un tribunale! Battute a parte, credo che questa iniziativa sia anche un modo per mostrare alle autorità giudiziarie che nuove strutture e più attività negli istituti italiani possono solo migliorare il sistema carcerario, così come è previsto dalla Costituzione di questo Paese.

Millo – Credo, anzi sono sicuro, che le attività che si possono svolgere in carcere siano efficaci per dare una nuova possibilità a una persona detenuta. Negli anni l’offerta rieducativa è migliorata, ma c’è ancora tanto da fare. Anche una mostra può servire ad aiutare la gente ad abbattere i pregiudizi e a conoscere meglio la realtà degli istituti penitenziari. Solo con una conoscenza più diffusa e quindi una maggior sensibilità la situazione potrà migliorare ancora.

Chaka Zulu – Conosco molti detenuti che hanno disperatamente bisogno di costruirsi una vita normale una volta fuori dal carcere. Le persone, invece, troppo spesso credono che i detenuti siano “buoni a nulla”, persone cioè che possono solo creare problemi alla società. Naturalmente so bene che non tutte le persone detenute riflettono realmente sulla loro vita e decidono di cambiare. Il punto è che se anche solo poche persone decidono di provarci, il sistema carcerario dovrebbe essere a sua volta disposto e adeguatamente equipaggiato (risorse, educatori, spazi, ecc…) a dare supporto e aiuto nella rieducazione che, secondo me, include l’aspetto fisico, ma anche psicologico e intellettuale.

È possibile contattare i redattori di Mezzo Busto all’indirizzo: mezzo_busto@libero.it

Redazione VareseNews
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Noi della redazione di VareseNews crediamo che una buona informazione contribuisca a migliorare la vita di tutti. Ogni giorno lavoriamo cercando di stimolare curiosità e spirito critico.

Pubblicato il 23 Maggio 2009
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