Sandy Cane, una storia di Viggiù
La candidata di colore della Lega racconta le sue origini: una vicenda di famiglia tipicamente viggiutese. A partire dall'emigrazione come picasass
La sua è senza dubbio la candidatura che, in questa tornata elettorale, sta destando più curiosità: una donna di colore a rappresentare la Lega in Valceresio, a Viggiù, estremo lembo della provincia alle porte del Canton Ticino. Sandy Cane, al di là dell’improvvisa notorietà, ha una storia che si intreccia in profondità con quella del suo paese. E se una candidata sindaco di colore nelle file del Carroccio non può che essere una novità che incuriosisce, la vita di questa quarantottenne italo-americana più che l’immigrazione racconta la storia dell’emigrazione povera del passato, uno dei tratti distintivi dell’identità di Viggiù.
«Della Lega sono sempre stata sostenitrice, anche se mai vera militante. Quando ero ragazza morivo dal ridere a vedere i loro manifesti, curiosi e di forte impatto. Poi quindici anni fa, più o meno, mi sono avvicinata di più». Nata a Springfield, nel Massachusetts, nel 1961, Sandra Maria Cane è figlia di una ragazza di Viggiù e di un soldato americano di colore: «Mia madre conobbe mio papà mentre lui era in Europa con l’esercito americano, durante la guerra. I miei nonni, con mia madre e gli altri figli, si erano trasferiti nel nord della Francia , avevano un laboratorio che faceva monumenti funebri». L’emigrazione dei picasass viggiutesi, sparsi per il mondo a diffondere la loro arte scolpita nella pietra. Anche la madre e lo zio di Sandy, come tanti, hanno sofferto di silicosi, residuo degli anni a lavorare la pietra senza protezioni. «Ho anche una cugina, una Casarico (una delle "casate" del paese, ndr), che vive a Barre». Barre è la città del Vermont dove si stabilirono decine di scalpellini viggiutesi, insieme con l’aristocrazia degli scultori-cavatori d’Europa: si distinsero come i migliori e trovarono pure il tempo per diffondere il verbo anarchico che da queste parti (come a Carrara e dovunque in Europa ci fossero cavatori) aveva grande seguito.
«Quando parlo degli italiani dico "noi", quando parlo degli americani dico ancora "noi"» spiega la Cane, che abita a Viggiù dal 1971, dopo dieci anni passati negli Stati Uniti. Oggi lavora nel settore alberghiero, ha avuto esperienze in Valle d’Aosta, a Stresa, a Firenze. Dell’Italia le piace «l’idea della famiglia, che però si sta perdendo un po’, come negli Usa». Degli Stati Uniti le piace l’idea e la forza del cambiamento: «Gli americani hanno constatato che stavano raschiando il fondo del barile, hanno avuto coraggio e hanno scelto Obama. Anche se io avrei giurato che prima di una persona di colore, sarebbe diventata presidente una donna». Vede come «molto americana» anche la Lega, «per la richiesta di rispettare rigorosamente la legge, anche per i clandestini». Anche se a Viggiù, precisa, non ci sono problemi di integrazione, nè tantomeno di sicurezza. Tra le priorità, guarda al rilancio turistico del paese, con manifestazioni («niente di spettacolare, niente costi milionari») e attenzione alla cultura. «Avevo già parlato con la cugina di Barre dell’idea tradurre in inglese il libro dedicato ai picasass» conclude. Anche questo fa parte dell’identità del territorio.
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