Dalla Sicilia a Varese , i messinesi immigrati di successo

Un piccolo gruppo ma di grande profilo in città. Gianni Spartà, Emilio Curtò, Vittorio Tracuzzi, Salvatore Caminiti a cui si aggiungono i cugini Salvatore Furia (catanese) e Renato Guttuso (palermitano)

Delle migrazioni di massa da un continente all’altro o nell’ambito di uno stesso Paese oggi si sa tutto, anche di particolari davvero singolari: per esempio che nel Dna dei Nordamericani è presente lo stimolante mito della frontiera, infatti a secoli dallo sbarco dei Padri Pellegrini provenienti dall’Inghilterra o dalla più recente conquista del West ancora oggi non meno di 4-5 volte nella loro vita gli abitanti degli USA si trasferiscono, con la famiglia, da uno stato all’altro. Un cambio, a volte importante, di lavoro, stile di vita e situazioni ambientali.
Ci sono anche le micromigrazioni, numerose in Italia e per certi versi … misteriose se si arriva alla clonazione e quasi al trapianto di intere comunità, come è accaduto in questi anni in Emilia dove si sono trasferiti a migliaia abitanti del territorio della calabrese Cutro. Anche Varese ha visto approdi strani: nell’arco di decenni si sono registrate presenze, non massicce , di messinesi, tutti di notevole profilo umano e professionale.
(foto, da sinistra: Fernando Fasolo, Gianni Spartà ed Emilio Curtò)
Della peculiarità di questo fenomeno mi sono ricordato dopo la recente tragedia di Giampilieri, davanti alla quale l’intero Nord, tradizionalmente sensibile e solidale, ha mostrato un certo distacco. Non ho capito perché   noi varesini ci si sia dimenticati di quanto la piccola comunità messinese abbia dato alla nostra città. Laboriosa e schietta, essa non ha mai avuto difficoltà a calarsi in una realtà molto diversa nelle tradizioni e nelle abitudini, arrivando a contribuire, grazie ad alcune eccellenze, alla crescita di Varese.
Per recuperare questa presenza non avevo problemi perché potevo contare su Gianni Spartà, caro collega al quale dobbiamo notevoli interventi tesi a recuperare alla memoria collettiva uomini e aziende che hanno fatto grande in campo economico il territorio varesino. Gianni , cuore messinese, è anche il protagonista di quella formidabile iniziativa rappresentata da “Varese per l’oncologia”: subito ha accettato di offrirci la lettura della esemplare presenza varesina dei suoi conterranei così contrastante con eventi e comportamenti che in questi ultimi anni hanno messo in croce la città dello Stretto.

L’uomo di Messina in che misura è diverso da siracusani, agrigentini o palermitani?
«Dicono che Messina, dove sono nato e cresciuto e dove trascorro da sempre le vacanze, sia la provincia “babba” in quanto non contagiata storicamente dalla mafia. Oggi mi sembra una constatazione generosa.»

La vostra vicenda è fatta anche di tragedie, 100 mila morti nel terremoto del 1908, di riscosse tenaci e mai sbandierate, di orgogli silenziosi..
«Tutto è esagerato in Sicilia ,anche le catastrofi: quando la natura colpisce non fa sconti. Non ne ha fatti a Giampilieri.Giornali e TV hanno processato l’abusivismo edilizio. Io metto sotto accusa
l’abuso del territorio chiamando a risponderne governanti e governati. Ripugna anche a me che Scilla e Cariddi possano diventare due svincoli autostradali e ferroviari, ma il Ponte sullo Stretto aggiungerà poco, purtroppo, ai danni compiuti dal Dopoguerra a oggi a Messina con la coscienza e la volontà di compierli».

Amarezza?
«No, rabbia. Avevo un nonno pescatore, l’altro coltivava ulivi. Guardavano al mare e alla campagna come si guarda al pane necessario per vivere. Noi delle nuove generazioni abbiamo scambiato le fiumare per terreni edificabili, le spiagge per discariche.»

Decenni di cronache varesine invece parlano in positivo delle presenze messinesi.
«Vado a memoria: Vittorio Tracuzzi, allenatore della grande Ignis, Salvatore Caminiti, ottimo assessore alla cultura.Vado a memoria, ma devo confessare una dimenticanza: scrivendo Mister Ignis,la biografia di Giovanni Borghi, dimenticai di sottolineare che Tracuzzi era messinese. Andai a presentare laggiù il libro, invitato dal Rotary, e Nino Calarco, direttore della "Gazzetta del Sud", mi “ciclonò” simpaticamente in pubblico: ”Ma che minchia di siciliano sei».

Caminiti lavorò forte per ridare a Varese un teatro dignitoso, fu artefice di grandi mostre. Come lo ricordi?
«Come un personaggio che amò questa città più di quelli che vi erano nati e abitano. Nessuno si offenda, è un classico. Caminiti assessore, Gibilisco sindaco, anche lui di origini siciliane; indimenticabile l’evento organizzato a Villa Mirabello per la cittadinanza onoraria al palermitano Renato Guttuso che aveva destato scandalo culturale con la sua “Fuga in Egitto” alla Terza Cappella ispirata a un esodo palestinese di oggi. In prima fila quel giorno Giulio Andreotti e don Pasquale Macchi al quale si deve l’immane restauro del Sacro Monte».

Fiero delle tue origini, non hai reciso il cordone ombelicale e sempre hai testimoniato, magari parlando con perfetta inflessione bosina, l’amore per Messina. Una volta fosti protagonista di un’autentica impresa sportiva.
«Sì, Varese-Messina in bicicletta, senza alberghi prenotati, con due borse a cavallo di un portapacchi montato sulla ruota posteriore: una grande avventura in nove tappe, 1575 chilometri, dal 3 al 12 agosto 1991. Con me altri due pazzi: Fernando Fasolo ed Emilio Curtò attuale presidente del tribunale di Varese, gran pedalatore, anch’egli messinese. La vista dello Stretto dalla cima del monte Sant’Elia in Calabria non la dimenticherò mai».

Ricordo l’articolo che scrivesti, una testimonianza toccante. Certamente il vostro raid anche dal punto di vista sportivo fu apprezzabile e del resto la vostra gente lo sottolineò con un’ accoglienza calorosissima.
«Ci fece molto piacere, comunque non ci sentimmo eroi, ma semplici portatori di un messaggio di amore alla nostra città, mai dimenticata vivendo nella bella e accogliente Varese».

Gianni, non hai accennato alla diversità dei messinesi rispetto alle altre genti di Sicilia.

«Non si tratta di una diversità molto marcata, però esiste ed è sempre riscontrabile al pari delle caratteristiche che ci accomunano agli altri siciliani. Credo che all’origine ci siano fattori storici, culturali, sociali tipici della gente di frontiera; la collocazione geografica e le vicende storiche importanti che ci hanno coinvolti e risaliamo pure anche ai miti cantati dai poeti antichi, sono stati occasione di sviluppo e di avanguardia. La città, lo Stretto con i suoi paesi, luoghi di passaggio e di incontri, sono sempre stati un vero ponte, un solido collegamento tra culture ed esperienze diverse. E questo essere frontiera ha fatto diventare noi messinesi continentali, non più isolani».

Si spiega anche così la vostra facilità di inserimento in altre realtà. Varese ha goduto e gode del vostro dono fatto di generosità e di condivisione tese all’amicizia. Resta da spiegare il ben selezionato approdo a Varese.
«A Varese nel Dopoguerra arrivarono prima i giuliano-dalmati perseguitati da Tito, poi gli alluvionati del Polesine precedendo l’arrivo più consistente di meridionali attratti dal boom economico che aveva portato questa provincia alla ribalta nazionale. Dirigenti o impiegati dello Stato, insegnanti, professionisti, artigiani ed operai: c’erano anche dei messinesi che evidentemente hanno fatto un intelligente passaparola se il flusso non si è mai interrotto ed ha sempre avuto la caratteristica della qualità, perfetta sintonia con una realtà sicuramente   vivibile pure oggi a fronte di problemi che hanno ridimensionato in tutta Italia altre tradizionali “isole felici.” Voglio però concludere ricordando che sotto il Sacro Monte la Sicilia ha una bandiera: il catanese Salvatore Furia. Chi non vuole bene a quest’uomo che dal nulla a creato al Campo dei Fiori non solo ha un attrezzato osservatorio astronomico e un centro di studi botanici, ma una scuola di vita?»
 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 27 Ottobre 2009
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