Il Nobel a Obama è un premio alla speranza

"È l’uomo giusto e il momento ci sembra propizio per questo prestigioso riconoscimento. Se non è lui chi? Se non adesso quando?" L'onorevole Jean Léonard TOUADI argomenta le ragioni della scelta del premio Nobel per la pace

La notizia del premio Nobel a Barack Hussein Obama non è una buona notizia, è un’ottima notizia per l’America, per il mondo e per tutta la diaspora nera. Sentiamo voci e leggiamo parole critiche che contestano questa scelta. “E’ troppo prematuro”; “cosa mai ha fatto in questi mesi”. Le stesse voci scettiche che hanno costellato il percorso di questo giovane senatore di Chicago da quando ha annunciato la sua intenzione di candidarsi alle primarie del suo partito e prenotarsi per la Casa Bianca. Noi rispondiamo senza esitazioni che Baraci Hussein Obama è l’uomo giusto e il momento ci sembra propizio per questo prestigioso riconoscimento. Se non è lui chi? Se non adesso quando? Cerchiamo anche di argomentare questa nostra convinta presa di posizione.
Barack Hussein Obama rappresenta una radicale discontinuità rispetto alla presidenza e ai valori portanti di George W. Bush. Nella sua corsa verso la Casa Bianca ha proposto all’America e al mondo una scala di valori e di priorità del tutto opposto a quelli dei repubblicani chiudendo “l’era reaganiana” del neoliberalismo concretizzatosi con la globalizzazione del capitalismo-turbo senza etica e senza solidarietà. Ha chiuso con l’unilateralismo americano avviando e rilanciando in pochi mesi una diplomazia multipolare con la valorizzazione di nuovi “players” negli equilibri geopolitica mondiale. Una svolta che si è tradotta con l’ormai istituzionalizzazione del G.20 che affianca e forse sostituirà l’ormai anacronistico G. 7. Per giungere a questi risultati ha teso una mano ai russi rinunciando allo scudo nucleare in Europa dell’Est; tra poche settimana si recherà in Cina dove si appresta a stringere un’alleanza strategica tra il gigante giallo e gli USA in vista di una collaborazione globale che non esclude la partecipazione della Cina alla lotta contro il terrorismo in Afghanistan. Baraci Obama ha parlato un linguaggio nuovo, coraggioso, rischioso ma piena di speranza al mondo musulmano con il discorso storico tenuto al Cairo. Ai discepoli di Allah ha chiesto con toni profetici ma pieni di pragmatismo di dischiudere il pugno e di aprire la mano per collaborare rinunciando al fondamentalismo e all’integralismo che rappresentano degli ostacoli allo sviluppo e al progresso in primo luogo dei popoli musulmani. Il suo approccio al dossier iraniano è, altresì innovativo e, nell’ultima riunione dell’Assemblea generale dell’ONU, è riuscito a conseguire un doppio risultato: ottenere da tutta l’Assemblea una risoluzione che mira a denuclearizzare il pianeta e un’altra firmata con l’accordo di tutti i membri del Consiglio di Sicurezza che ha costretto alla ripresa dei negoziati il governo totalitario di Teheran. L’ultimo primo ottobre una delegazione iraniana ha incontrato esperti dell’Agenzia ONU per l’energia nucleare e sono previste visite a breve sui siti nucleari del paese degli ayatollah chiusi da anni agli sguardi internazionali. Dalla soluzione della questione iraniana, Barack Hussein Obama spera di trarre vantaggi e argomenti da mettere sul tavolo dell’altra questione, la madre di tutti i conflitti ossia la questione israeliano-palestinese. In questi giorni, il capo della casa bianca sta ponderando le nuove strategie da adottare in Afghanistan. Non solo soluzione militare ma cooperazione civile e coinvolgimento dell’India e soprattutto del Pakistan. Infine, Obama ha rivolto un discorso di speranza all’Africa, il continente di suo padre. In un discorso tenuto significativamente a Cape Coast (pochi chilometri da Accra la capitale del Ghana), un sito che ricordo la tragedia degli schiavi in partenza dall’Africa, egli ha chiesto agli africani di prendere in mano il loro destino, senza dimenticare il passato ma guardando all’oggi e al futuro. Ha detto chiaramente ai dittatori del continente che “l’Africa non ha bisogno di uomini forti ma di istituzioni forti”. Da mesi Obama sta facendo pressione sul Kenya, il paese nativo di suo padre, per spingere i suoi dirigenti a comportamenti più democratici e a maggiore trasparenza nella gestione della cosa pubblica.
E la lista potrebbe continuare delle iniziative prese in questi pochi, pochissimi mesi in una diplomazia mondiale abituata a tempi biblici per modificare i paradigmi, gli approcci e i linguaggi. Vorrei solo valorizzare per chiudere un elenco sicuramente incompleto l’irrompere nell’economia mondiale della “green economy” destinata ad incidere in profondità sui nostri modelli di vita e di consumo. La “green economy” potrebbe chiudere definitivamente l’era dei combustibili fossili con il suo corollario di guerre intraprese per garantirsi gli approvigionamenti in petrolio o gas. In pochi mesi di mandato Baraci ha sconvolto il mondo e ha imposto un’approccio decisamente e proficuamente foriero di processi diplomatici, politici ed economici che vanno nella direzione della pace, della stabilità globale e della cooperazione tra i popoli.
Non si tratta, quindi, di una scelta dettata dalla moda dell’”obamamania”. I giurati di Oslo hanno ponderato le loro scelte e hanno investito sul futuro inchiodando lo stesso Barack a tenere le sue promesse. Una sfida e una promessa dunque. Ma un fatto resta vero e merita questo riconoscimento. L’elezione di Barack Hussein Obama, americano nato nelle Hawai, figlio di un africano e di una donna bianca, cresciuto in Indonesia è un segno dei tempi. Un uomo che solo la nostra pigrizia mentale ci costringe a chiamare “nero”. Obama è “beyond the borders” nella sua biografia e ora nelle sue scelte strategiche negli Usa (vedi la difficile riforma sanitaria) e nel mondo. Egli rappresenta una novità assoluta, la cifra e lo spesso di quello che saranno le nostre vite in un mondo globalizzato, ossia uomini e donne che più lingue, capaci di attingere a registri identitari diversi, figli e figlie delle connessioni rese possibili dalla relativizzazione dello spazio e del tempo compiuto dall’evoluzione tecnologico. I giurati di Oslo hanno premiato, simbolicamente, la speranza che Baraci Hussein Obama ha suscitato nel mondo, in tutto il mondo perché dentro la sua vicenda personale c’è il nostro mondo di oggi ma soprattutto di domani.

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Pubblicato il 10 Ottobre 2009
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