Lo spezzatino della “fabbrica” del sapere
Quindicimila studenti, oltre duemilasettecento persone che ci lavorano tra docenti e personale tecnico, ventisettemila laureati. Sono solo alcuni dei numeri "prodotti" dalle cinque Università presenti in trenta chilometri
Cinque università in trenta chilometri. E ce n’è per tutti i gusti, anche se per la verità mancano facoltà di taglio prettamente umanistico. L’Insubria a Varese e Como, la Liuc a Castellanza, il Politecnico sempre nella città lariana e per chiudere la Usi e la Supsi tra Lugano e Mendrisio.
In tutto quindicimila studenti, con oltre duemilasettecento persone che ci lavorano tra docenti e personale tecnico. Ventisettemila i giovani che in questi anni si sono laureati: un piccolo esercito.
Sono pochi i territori che possono vantare una situazione così ricca di offerta formativa di alto profilo. Venti facoltà con centinaia di corsi e decine di master. Una vocazione legata all’economia, all’ingegneria, all’informatica e alla comunicazione. Università che si legano così in modo forte al tessuto economico e sociale.
Altro dato di grande interesse è l’alto numero di studenti stranieri che arrivano da ogni parte del mondo, sia per il percorso curriculare completo, che per singoli progetti per periodi definiti.
Questa la foto e l’oggetto, come si può osservare, è davvero interessante. Mostra una ricchezza invidiabile sotto ogni punto di vista, perché se si guarda meglio, più in profondità, si scoprono cose davvero affascinanti. Ci sono incubatori, centri di ricerca sia di taglio teorico che applicata, partnership internazionali di livello mondiale e tanto altro. A questo si somma una “fabbrica” tra le più importanti per occupazione, ma anche per indotto economico generato.
Quello che manca, ancora un volta, è un coordinamento tra tutto questo ben di Dio. C’è qualche eccezione, ma davvero rara, altrimenti ognuno fa per sé. Non esiste alcuna rete e alcun progetto che valorizzi tutte queste realtà. E così parte di questa immensa ricchezza rischia di disperdersi.
Le università, che sono luogo di ricerca per eccellenza, da espressione del territorio potrebbero lavorare per il territorio. Non si tratta di cambiare la loro missione, il loro modo di operare, ma solo di tessere una rete. Attraverso questa il valore delle singole attività crescerebbe in modo significativo e ci guadagnerebbero tutti. Gli studenti che potrebbero scambiarsi esperienze formative, i docenti che avrebbero spazi di confronto e di espressione maggiori e tutto il territorio grazie a una promozione molto più efficace. Tutto questo favorirebbe una crescita culturale e potrebbe costituire un vero ponte tra le varie comunità.
Editoriale pubblicato anche su La prealpina del 26 febbraio
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