Aglio, pesce e pasta sul palco. Con Donpasta il concerto è servito
Daniele De Michele, in arte Donpasta, il “gastrofilosofo” teorico dello slow soul è in tour con “Cook and Roll Circus”. «Il rock è un salame invecchiato bene»

È nato prima il musicista o prima il cuoco?
«Nasce il dj. purtroppo mai musicista. Il cuoco invece è un diletto vissuto con cura».
Perché proprio Donpasta? Insomma, dal Salento nasce un olio strepitoso…
«Don Olio… Cerco il mio Don Stanlio allora. E’ legato al ricordo di una annata parigina in cui mi misi a preparare pasta per tutti i senegalesi passando James Brown. Quel nome buffo fu un loro omaggio».
Le figure del cuoco e del compositore si somigliano: strumenti, colori, equilibri, dosi per entrambi, no?
«Più che le dosi, penso che la cosa più sia importante sia il mood. Quella strana sensazione, impercettibile, che si vive quando si sta in cucina o si fa il dj. Tutto dipende da come si vive quel momento».
Il Salento e la Francia: simili?
«Complementari ma assolutamente diversi. Il Salento è il luogo di ispirazione dove sono legato da un rapporto forte con quel tipo di cultura aperta e tollerante. Una cultura basata sulla accoglienza, ma come ogni Sud luogo delle ingiustizie ai contadini, ai clandestini e alle donne. La Francia è il luogo mondiale della cultura, dove un intero sistema culturale è salvaguardato perché l’arte è considerata come un bene pubblico per tutti».
Cook and Roll Circus: cosa accade in scena?
«Io cucino. Mi faccio la pasta e le polpette mentre due multistrumentisti prodigiosi suonano e le immagini di cucina interagiscono con me. Una esplosione di sensi».
La musica come si amalgama agli ingredienti dei piatti ed agli aromi?
«In modo assai naturale. Entrambe sono legate ad elementi emozionali, si basano sui ricordi, sui momenti più belli e piacevoli. Sono indispensabili alla vita umana».
Cucina e musica: quale è l’hobby e quale la professione?
«La musica è la professione, la cucina è un hobby. Ma ultimamente le cose quasi si invertono».
Ricette con accompagnamento musicale o atmosfere musicali che combaciano ai sapori di un piatto?
«Dipende: talvolta è il piatto che invoca nella preparazione una musica perfetta per lui; altre è la musica, in cerca di essere definita, che chiede ausilio a una ricetta».
Cerchiamo di capirci: dove sta la musica nella Cinematica focaccia di cicorie?
«Quando prepari la focaccia ci vuole tempo e pazienza: è un film in bianco e nero. E’ un mood caldo, la condizione riflessiva che ti aiuta a far le cose fatte per bene. Cinematic Orchestra o Ascenseur pour l’echafaud di Miles Davis».
Quanto è importante difendere le proprie radici e le proprie tradizioni e quanto (quando) è importante non farlo?
«La tradizione è quella che ti da una identità. E’ lo strumento per costruirsi una opinione del mondo: chi ce l’ha è fortunato. Da questo punto, crescere in un luogo con tradizioni forti è bellissimo, come in Salento. Ma la tradizione è da sempre anche il luogo dei pensieri più beceri e reazionari. La tradizione è a mio avviso il grande strumento per un sano meticciato, non per una chiusura».
Che c’entra Pintor con London Calling e l’inchiostro di polpo?
«Tutta una emozione otrantina. A quattordici anni, isolato in quel paesino, amavo stare davanti al mare, leggere il Manifesto di Pintor e ascoltare London Calling con il walkman. Il pescatore sbatteva polipi sulla roccia».
E Palermo e le sarde con Pharoah Sanders?
«L’inno alla psichedelia, alla libertà del jazz, ai meticciati in cucina. Ai meticciati come luoghi di curiosità».
Poi abbini Billie Holiday al baccalà: non è gentile, o sbaglio?
«Non è l’abbinamento più riuscito, lo confesso. Era una cena solitaria, magari malinconica. Billie ci sta perfetta. Il baccalà… forse.. è indigesto!!!».
Sei più maldestro tu o i musicisti che ti accompagnano?
“Io: ogni movimento che faccio è a rischio. E’ il principio dei clown”.
L’immaginazione è l’anticamera della creazione?
“La libertà che uno si regala è l’anticamera della creazione”.
È la musica ad ispirarti o sono gli ingredienti dei piatti che richiamano i suoni?
«Entrambe. Dipende…».
Nick Drake e Tom Waits: li vedo male in cucina…Sapori forti?
«Waits sta bene per l’accompagnamento: è il vino che ti bevi in cucina. Nick Drake serve per quando cucini solo con te stesso, perché è il miele della cucina».
Gli Smiths con le rape: perché?
«Perché in Salento non c’erano negozi di dischi e così aspettavo il pacco da Disfunzioni musicali. C’era una unione diretta tra l’apertura del pacco e il pranzo con orecchiette e rape: ed io ascoltavo indie, punk e rock».
Seguire le stagioni per non perdere gusto e poesia: tu guardi a musicisti tuttora attivi ma legati al passato. Ti contraddici?
«I Public Enemy, i Clash o i Massive Attack hanno rivoluzionato la musica utilizzando suoni e canzoni di trent’anni prima. Il passato ed il futuro sono assolutamente legati: l’importante è non fare foto stinte. E’ fare proprie le radici per esplorare mondi nuovi».
Per un semplice soffritto, e nulla più, quale musica sceglieresti?
«Bob Marley. Caldo, profumato, in levare».
Un jazzista, tempo fa, mi disse che il blues è come il grasso del prosciutto. E il rock, secondo te?
«Un salame invecchiato bene».
Pensi che all’Italia di oggi dovremmo aggiungere un po’ di olio?
«Se andiamo avanti così ritorna l’olio di ricino: meglio evitare di usare la regola di mia nonna in qualsiasi contesto».
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