“Il biotech funziona ma ha bisogno di incentivi”

In Italia il settore conta 319 imprese e ha segnato 6,8 miliardi di fatturato nonostante la crisi. Tuttavia, dicono gli esperti, per reggere la concorrenza internazionale serve più attenzione alla ricerca

biotecnologie rapporto assobiotechIl biotech lombardo tiene testa alla crisi. Nella nostra regione ha sede il 36 per cento delle imprese di questo settore che impiega in Italia 50 mila addetti e 5.800 ricercatori. E sono molte tra queste, le aziende tecnologiche "insubri" (su un asse che comprende i territori di Varese, Como e che si collega ai casi di eccellenza del Canton Ticino). Una quadro che Ernst & Young e Assobiotec hanno riassunto in “Biotecnologie in Italia 2010”, il rapporto annuale realizzato in collaborazione con Farmindustria e l’Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE) che fotografa il comparto biotecnologico italiano, analizzandone i trend di sviluppo e i settori emergenti, oltre che i punti di forza e di debolezza. Ne emerge quindi che il settore ha segnato un fatturato di 6,8 miliardi di euro e che conta nel nostro paese 319 imprese, per lo più costituite tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000. Molte di queste nascono come start-up (nel 53% dei casi) e spin-off accademici (24%), predominano le cosiddette “pure biotech”, 187 imprese, che hanno nelle biotecnologie il proprio core business: tra queste spiccano le micro (41%) e le piccole realtà (27%).

Ma di che cosa si occupano esattamente queste aziende? Qual è l’oggetto delle loro ricerche? Le più numerose, secondo il rapporto, sono le aziende dedicate alla cura della salute (red biotech), ben 197 (pari al 61% del totale), dato in linea con la media europea, mentre i settori di applicazione white (biotecnologie industriali – 7%) e green (biotecnologie agro-alimentari – 13%), rivelano un peso percentuale superiore alla media europea. Le imprese si concentrano prevalentemente in sei regioni: Lombardia (36% del totale delle imprese), Piemonte (12%), Toscana (9%), Veneto (8%), Sardegna (7%) e Lazio (6%). Gli addetti sono oltre 50.000, di cui 5800 impegnati in attività di Ricerca & Sviluppo; il fatturato ammonta a 6,8 miliardi di Euro, e gli investimenti in ricerca e sviluppo a 1,1 miliardi di Euro. 

Il comparto biotecnologico vede crescere notevolmente la propria capacità di innovare, come dimostrano i 233 progetti e prodotti in sviluppo (di cui 89 in fase di sviluppo preclinico e 144 in clinico), che trovano applicazione terapeutica nelle aree dell’oncologia (36% dei prodotti), dell’infiammazione e malattie autoimmuni (15%) e della neurologia e malattie infettive (entrambi 11%). A questi si aggiungono ulteriori 69 progetti in fase early-stage (o “discovery”), che rappresentano una interessante promessa per il settore per i prossimi anni, e che fanno salire a 302 i progetti e prodotti italiani complessivamente in sviluppo.

«E proprio l’innovazione e la continua ricerca – commenta Antonio Irione, Advisory Life Sciences Leader di Ernst & Young in Italia – rappresentano l’imperativo per le innumerevoli sfide di business imposte dal mercato del biotech. Partendo dalla nostra definizione di azienda biotech abbiamo potuto effettuare confronti tra i paesi, riflettere sul futuro di questo mercato e sviluppare punti di vista sulle problematiche di business emergenti. È emerso un quadro confortante che ci fa notare quanto l’Italia sia attenta alle dinamiche di questo mercato. A dimostrarlo, un dato su tutti, è ad esempio il numero delle aziende italiane del Green Biotech (biotecnologie agro-alimentari) che supera quello di tutti gli altri paesi».

«Il biotech italiano può oggi contare su un consistente numero di imprese che continuano a crescere e a generare valore e occupazione, nonostante la difficile congiuntura economica e l’assenza di idonei incentivi fiscali per la crescita dei settori maggiormente innovativi. Tanto è vero che il Rapporto evidenzia come l’Italia si sia finalmente posizionata al livello dei competitor europei – commenta Roberto Gradnik, Presidente di Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, che fa parte di Federchimica -. Il potenziale è ancora notevole, come mostra la maggior proporzione di imprese dedicate alle aree green e white rispetto ai principali paesi europei. Servono però specifici incentivi fiscali alla ricerca, almeno analoghi a quelli introdotti in numerosi paesi europei per continuare ad alimentare e non tarpare la crescita del settore. E, per farlo in maniera mirata e compatibile con le disponibilità di bilancio del Paese, serve, anche in Italia, il riconoscimento della Giovane Impresa Innovativa, fondamentale per le tante piccole imprese biotech. E, poi, l’emanazione dei Bandi nell’area Scienze della Vita di Industria 2015, che giacciono nel cassetto da molto tempo, e la stabilizzazione della misura del credito d’imposta per le aziende che fanno R&S in Italia». 


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Pubblicato il 27 Aprile 2010
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