Da Ispra a Karlsrhue per sorvegliare il Nucleare

A colloquio con Gabriele Tamborini, varesino, nel gruppo dei "detectives" del Centro di ricerca dell'unione europea che si occupa di nucleare. Che non sta a Ispra, ma in Gemania

gabriele tamboriniSicurezza nucleare: a vegliare ci pensa il CCR. Non quello di Ispra, che di nucleare da tempo non si occupa più, e il cui unico impegno – che non si concluderà prima del 2029 – è quello di smantellare in sicurezza il Reattore interno spento nel 1999.  E’ il centro ricercrhe di Karlsrhue che ha la direzione su questo genere di argomenti, tanto da avere creato una "divisione di ricercatori detective" che scova persino i traffici illeciti e i rifiuti "impropri". E il cui uomo di punta è un varesino, di Mercallo: si chiama Gabriele Tamborini. E a lui chiediamo ci cosa si occupa il suo gruppo, nell’ambito dell’Istituto dei Transuranici

«Quando si parla di sicurezza nucleare, si parla di tre aspetti principali: la salvaguardia nucleare tradizionale, che si occupa della regolarità degli impianti in funzione, la salvaguardia rafforzata – che serve a verificare la completezza delle dichiarazioni e l’assenza di attività illecite in un impianto in funzione, e la lotta al trasporto illecito del nucleare: è questa la sezione più recente, più affascinante e anche più “investigativa” del nostro lavoro. Il Ccr ha due laboratori di verifica degli impianti di riprocessamento, La Halle e Sellafield, per la verifica degli impianti “normali”. Ma subito dopo la guerra del Golfo si è capito che non era più sufficiente la salvaguardia tradizionale per tenere sotto controllo gli impianti: così si sono creati metodi per studiare la situazione ambientale e altro. Grazie a queste scoperte il jrc è stato il primo laboratorio civile al mondo a verificare gli impianti».

Cosa avviene materialmente?

«Che degli ispettori del jrc, richiesti in un determinato impianto, procedono alle verifiche. Per farlo usano gli swipes, praticamente dei fazzoletti di cotone, con i quali si strofinano le superfici e si raccoglie qualche milione di particelle di polvere. Con questi siamo in grado si capire dove, se, e quale tipo di attività è in corso. Perché la composizione delle particelle dà indicazioni fondamentali sulla sorgente e sul tipo di arricchimento del materiale del sito. Non si parla però di particelle “normali”: quelle così piccole che non solo non sono rilevabili dagli strumenti tradizionali, ma non possono nemmeno essere rimosse da chi è al lavoro di quel sito. I campioni poi vengono mandati in forma anonima ai laboratori (uno è il nostro, poi ce ne sono altri 3 o 4 nel mondo…)».

Cosa studiano i ricercatori?
«Quello che noi andiamo a cercare è la variazione tra particelle in funzione chimica e isotopica. Diciamo che cerchiamo “L’ago nel pagliaio” delle informazioni. Un caso in cui l’abbiamo trovato è stato quello in cui si è studiato il pacco transitato dall’aeroporto di Monaco: Si presentava genericamente come mezzo chilo di polvere radioattiva, noi siamo riusciti a risalire al fatto che si trattava di un mix di plutonio e uranio, dando agli investigatori qualche ipotesi sull’utilizzo. in Sudafrica hanno scoperto un impianto che dichiarava l’arricchimento al 5%, percentuale comune agli impianti civili, ma hanno rilevato che arrivava a percentuali intorno al 90%, una percentuale comune solo agli impianti militari. Le rilevazioni nostre hanno permesso di arrivare a queste percentuali con sicurezza e in poco tempo, cosa importante quando si svolgono le indagini. Ma ora è arrivato un macchinario, che entrerà in funzione nel 2011, che permette di essere ancora più veloce e dieci volte più sensibile».

E’ aumentato il traffico delle scorie nucleari?

«In realtà, nel corso degli ultimi 15 anni i casi di traffico illecito di materiale nucleare sono rimasti costanti: sono aumentati invece i casi di uso di materiale radioattivo, quello usato nell’industria o negli ospedali. In ogni caso, la lotta al traffico illecito si svolge in tre fasi: la rilevazione del materiale, dove è importante la strumentazione, la classificazione – dove è importante distinguere il materiale nucleare da altro materiale radioattivo, e infine l’identificazione del materiale».

Quali sono i casi statisticamente più comuni?
«I casi tipici sono riguardano il materiale non più in uso, gli scarti. Si tratta più che altro di scambio di trasporto di materiale tra un paese all’altro. Non si trovano delle componenti principali: di solito si trovano per caso solo pezzetti di metallo che al controllo risultano radioattivi. Ed è qui il nostro lavoro di controllo».

Una soluzione possibile a problema?

«Puntare sulla tracciabilità: mettiamo il caso che l’ospedale compera una sorgente allo iodio per le sue attività, quando poi la dismettono deve essere “riportata” e segnalata alle autorità competenti. Fino a dieci anni fa la cultura non era così diffusa: Il JRC sta lavorando perchè venga imposta la tracciabilità del materiale nucleare».

Redazione VareseNews
redazione@varesenews.it

Noi della redazione di VareseNews crediamo che una buona informazione contribuisca a migliorare la vita di tutti. Ogni giorno lavoriamo cercando di stimolare curiosità e spirito critico.

Pubblicato il 24 Dicembre 2010
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.