Ristorni bloccati, le Acli scrivono a Tremonti
La lettera del presidente nazionale dell'associazione, Andrea Olivero, che ha chiesto al ministro un intervento a tutela dei lavoratori e dei rapporti transfrontalieri
Le Acli di Varese sostengono la posizione ufficiale assunta dalle Acli Nazionali e dal Coordinamento Frontalieri Acli della Lombardia che chiedono con forza la necessità di aprire un tavolo di confronto che sappia affrontare la delicata questione dei ristorni delle imposte in un contesto complessivo che tenga conto della necessità di garantire il giusto riconoscimento di quanto pagato dai lavoratori frontalieri, ma anche sostenga le ragioni della vigilanza del diritto e della legalità, nonché della giustizia sociale che sono da sempre i riferimenti del nostro impegno associativo. Il presidente nazionale, Andrea Olivero e il presidente regionale della Lombardia, Giovanni Battista Armelloni, hanno scritto al ministro dell’economia Giulio Tremonti. Di seguito il testo del documento.
La decisione assunta dal Consiglio di Stato del Canton Ticino, con la quale sono stati congelati del 50% i ristorni dalle trattenute fiscali operate in Svizzera sui salari dei lavoratori frontalieri, ci sollecita ad esprimerle la nostra profonda indignazione.
Siamo consapevoli che questa decisone è certamente di ordine politico, legata alle continue pressioni soprattutto della Lega Ticinese, ma in parte anche di ordine strumentale per premere sul Governo Italiano per la revisione degli accordi bilaterali sulle doppie imposizioni fiscali e la salvaguardia del segreto bancario svizzero.
Ci permettiamo di intervenire perché di questi lavoratori dei quali conosciamo la storia, le difficoltà, le speranze, in quanto abbiamo iniziato la nostra attività di tutela nei primi anni ’60. Le ACLI si spesero a suo tempo affinché la legge 386/75 fosse promulgata, riconoscendo ai Comuni di frontiera risorse indispensabili per promuovere strutture sociali e servizi sul territorio di residenza dei lavoratori frontalieri.
Le inviamo pertanto un aperto e pressante sollecito affinché Ella si adoperi per affrontare queste delicate tematiche nell’interesse dei lavoratori e del nostro Stato.
Le Acli e il Coordinamento Frontalieri Acli della Lombardia ritengono che la delicata questione dei ristorni delle imposte possa essere esaminata in un contesto globale sulle doppie imposizioni fiscali, a patto che si tenga conto della necessità di garantire alle comunità di residenza un palese e congruo ristorno fiscale di quanto trattenuto alla fonte ai lavoratori frontalieri in Svizzera, ma, nel contempo, si affermino le ragioni della vigilanza del diritto e della legalità in materia finanziaria e fiscale generale, nonché della giustizia sociale che sono da sempre i riferimenti del nostro impegno associativo.
Nel merito sottolineiamo che la richiesta di alcune forze politiche svizzere di ridurre l’attuale percentuale di ristorni delle imposte perché una parte dei frontalieri non rientra al domicilio italiano giornalmente, è una falsa ragione. Si tratta, infatti, di un fenomeno marginale e, qualora fosse significativo, porterebbe da sé ricchezza alla Confederazione mediante i consumi ed i costi di alloggio conseguenti, senza beneficio, per sé e per i propri familiari, di servizi pubblici svizzeri. Inoltre, l’attuale quota di ristorno delle imposte all’Italia, pari al 38,8%, è inadeguata in quanto i lavoratori frontalieri vivono in Italia e fruiscono di tutti i servizi pubblici erogati dalle comunità territoriali e nazionali quali scuola, sanità, ordine pubblico, assistenza.
Anche la motivazione addotta da parte svizzera per la richiesta di diminuzione della percentuale di ristorno commisurandola alla minor percentuale del 12,50% prevista dagli accordi Svizzera- Austria, non tiene conto che i frontalieri austriaci in Svizzera sono solo 7.400, a fronte dei 52.000 italiani, dei 121.000 francesi e dei 50.000 tedeschi. Gli austriaci sono pertanto un fenomeno marginale: sia per le comunità di residenza, sia per la comunità di lavoro. AI contrario, l’accordo sul ristorno del Canton Ginevra ai Dipartimenti francesi di residenza dei frontalieri francesi, è molto più generoso di quello con l’Italia: viene trasferito il 3,5% dell’ammontare lordo dei salari percepiti in Svizzera.
E’ palese che un Paese che si avvale del lavoro dei frontalieri, ottiene dal lavoro dei nostri concittadini produzione di ricchezza per lo Stato di lavoro e redditi per le proprie Imprese, con oneri minimi, quali viabilità e poco altro. Il modello della tassazione alla fonte e dei ristorni è basato sul modello OCSE, che è datato e non considera l’esponenziale aumento della mobilità dei lavoratori, anche giornaliera.
Abbiamo assistito più volte ai solleciti di qualche parte politica elvetica alla riduzione del numero dei frontalieri. Ciò è velleitario e demagogico perché, come avvenuto nel passato, sono e saranno il mercato del lavoro e l’economia a decidere in merito, il lavoro dei nostri connazionali frontalieri è infatti riconosciuto come importante e strategico nell’economia svizzera e ticinese in particolare. Il numero dei frontalieri è aumentato anche in questi anni di crisi economica. Per cui, a nostro avviso, si porrebbero in discussione gli accordi Bilaterali Svizzera-Unione Europea sulla libera circolazione delle persone e sarebbe controproducente per il Governo Svizzero. Altro è il problema del dumping salariale al ribasso attuato a danno dei nostri lavoratori frontalieri, con ricadute ambivalenti sui lavoratori residenti in Svizzera. Questa è tuttavia una materia disgiunta dalle politiche fiscali bilaterali, in quanto investe la struttura delle relazioni sindacali e la legislazione del lavoro in Svizzera.
Ci permettiamo di aggiungere altre due considerazioni che, nel nostro lavoro di tutela dei lavoratori frontalieri, evidenziamo come prioritarie e non sono disgiunte dalle problematiche in questione.
Dal giugno 2009 – in base agli accordi bilaterali Svizzera-Unione Europea – i contributi per la disoccupazione trattenuti ai lavoratori frontalieri, non sono più retrocessi dalla Svizzera al Fondo Separato costituito presso l’lnps. Per obblighi comunitari, ma anche per comune correttezza, non possono essere incassati premi per la disoccupazione sulle buste paga dei frontalieri senza corrispondere loro la relativa indennità, costringendo peraltro l’Italia all’utilizzo degli avanzi di gestione INPS, superiori a 360 milioni di euro, versati dai frontalieri stessi. Gli accordi europei non comportano solo benefici, ma anche obblighi. Inoltre, la disoccupazione a carico del Paese in cui si è prestata attività lavorativa, ridurrebbe anche i licenziamenti strumentali, utili solo per riassumere i lavoratori comprimendo i salari in modo speculativo.
La riscossione in capitale delle rendite del Secondo Pilastro Previdenziale da parte dei frontalieri, possibile integralmente solo fino al giugno 2007 ed ora solo in parte, non doveva e non poteva essere oggetto di tassazione in Svizzera in base agli artt.a.S e 21 della Convenzione Italo-Svizzera di riferimento. La Confederazione invece, disattendendo la convenzione, tassa impunemente. L’iniziativa è quantomeno sconcertante, anche se l’Amministrazione della Confederazione si rende disponibile al rimborso, subordinando l’istanza alla notifica all’Erario Italiano del prelievo in questione. Le Acli, dopo avere promosso ricorsi in ogni grado di giudizio per il riconoscimento della giusta tassazione, hanno avviato azioni di informazione ai lavoratori frontalieri affinché la riscossione in capitale di queste rendite fosse correttamente assoggettata ad imposizione in Italia. Purtroppo sia le Istituzioni fiscali italiane, sia alcune Associazioni di categoria italiane e svizzere fornirono informazioni incomplete e talvolta distorte ai frontalieri, col risultato che solo il 10% degli interessati scelsero di pagare, come giusto, le imposte in Italia. Nonostante tutto all’Erario italiano è pervenuto un vantaggio di almeno 5 milioni di Euro, oltre il non secondario aspetto della giustizia sociale e della conformità alle norme. Resta tutto l’arretrato, che non può e non deve essere dimenticato. Ci auguriamo che queste note possano tornare utili alla riflessione e al confronto al quale ci rendiamo da subito disponibili. Aggiungiamo che il Consiglio Regionale delle ACLI della Lombardia ha votato all’unanimità lo scorso 4 luglio un ordine del giorno che impegna le ACLI e il Coordinamento Frontalieri ACLI ad attivarsi con la politica e le istituzioni ad ogni livello perché affrontino e sollecitino la questione del ristorno delle imposte dei lavoratori frontalieri. Il primo passo del mandato ricevuto dal Consiglio Regionale delle Acli lo muoviamo nella direzione del suo Ministero, altri ne seguiranno a breve.
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
Adriana Andriani su Bogno, la Fondazione Sacro Cuore in liquidazione. Bini: "Non c'erano le condizioni economiche per proseguire"
Bruno Paolillo su Ottant’anni fa Hiroshima: la memoria della bomba che cambiò il mondo
PaoloFilterfree su Vigili del fuoco, organico solo sulla carta: Candiani denuncia l’abuso delle leggi speciali. "Vuote anche le case Aler in convenzione"
Alessandro Zanzi su Crescono le diagnosi di disabilità tra i minori di Varese: +500% in 10 anni
Lina Hepper su La Provincia di Varese studia un gestore unico dei rifiuti: "Una strategia a lungo termine per anticipare il futuro"
Cloe su Quattro eccellenze varesine premiate dai Travelers' Choice 2025 di TripAdvisor
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.