“Paragone vicedirettore Rai grazie alla Lega”
Aspre polemiche prima e dopo la trasmissione "L'ultima parola". Il senatore leghista Torri accusa: "Questi sono solo mercenari". Il Pdl attacca il conduttore e Fli lo difende
“Paragone è vicedirettore grazie alla Lega. Da buon italo-napoletano, si è subito adattato sfruttando prima la Lega per la sua carriera in Rai, e poi dandole i calci appena ha avuto il sentore di poter approdare in altri futuri lidi che magari ha già puntato all’orizzonte”. Il senatore della Lega Nord Giovanni Torri non gliele manda a dire.
Ma cosa avrebbe fatto di così grave Gianluigi Paragone?
Proviamo a chiederglielo, ma lui non può rispondere. “Scusami, ma non posso rilasciare interviste, perché dovrei fare richiesta formale, e anche in quel caso rischio un provvedimento disciplinare”. Gianluigi Paragone ci invita però ad andare a rileggere le cose che ha detto pochi giorni fa. “La politica si era già accorta di alcune mie prese di posizione. Ora la questione esce per via della trasmissione”.
E già. Venerdì c’è stata la prima puntata della nuova serie de L’ultima parola. Non è andata tanto bene, e quel 6.98% dello share non solo non ha stemperato le polemiche, ma ha aggiunto altri politici contro il lavoro di Paragone. Uno per tutti è Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl: “Con Michele Santoro non c’è proprio Paragone. Con la puntata di venerdì Gianluigi Paragone ha offerto l’ennesimo, triste replay di una faziosità del servizio pubblico con il risultato di rendere ancora più nevrotico lo zapping degli spettatori. I suoi attacchi sconsiderati al presidente del Consiglio”.
Paragone ha rilasciato una lunga intervista uscita sull’ultimo numero di Vanity Fair. Andrea Scarpa non ci gira intorno e gli chiede se “paga per aver definito Berlusconi «un coniglio spelacchiato»?"
Lui risponde che è “meglio pagare per certe affermazioni che raccontare il falso, e io non l’ho mai fatto. Io sono di centrodestra, ma critico questo Governo da tempi non sospetti”.
Paragone porta un attacco diretto ai nuovi vertici della Rai sia per come lo stanno trattando proponendogli nomine di peso (è stato papabile per il ruolo di direttore della rete di Raidue o addirittura del Tg2) e poi non concedendogli la prima serata per la sua trasmissione. Oltre a questo, rispetto alla vicenda di Michele Santoro, sostiene che “è stato sleale toglierlo dal video: senza di lui Raidue va verso un impoverimento culturale”.
Paragone non si tira indietro nemmeno a una domanda sull’elezione di Renzo Bossi, il Trota, nel consiglio regionale della Lombardia. “Non mi imbarazzo a dire che quella mossa non è piaciuta a me come a tanti altri leghisti, che venerano Bossi, ma che di sicuro hanno pensato: «Non eravamo diversi dagli altri?»”.
Deve essere stato questo passaggio a indispettire Giovanni Torri. "Questi sono solo mercenari – ha rimarcato il senatore leghista – che scelgono il momento più adatto per raggranellare quattro denari. E la prova è che Paragone è vicedirettore in Rai grazie alla Lega, è dura ammetterlo ma è così! Lui ha detto che vuol tornare a fare il cronista? Allora se ha un po’ di dignità si dimetta dalla Rai e torni a Rete55 di Varese. Mi immagino il gesto di Paragone davanti a una proposta del genere…".
L’aperto malumore del senatore emiliano della Lega per ora sembra non aver avuto seguito nel partito di Bossi.
“Io sono soddisfatto della trasmissione e dei risultati della prima puntata”. Dice a denti stretti Paragone.
A sua difesa, dopo diversi attacchi del Pdl è Carmelo Briguglio, vice presidente dei deputati di Fli. "Gli attacchi sconsiderati a Gianluigi Paragone da parte del Pdl – osserva il finiano – dimostrano una sola cosa: il Berlusconi party non concepisce la libertà d’informazione e anche un giornalista di grande serietà e spessore professionale come Paragone, che certamente non è di orientamento progressista, dopo una carriera onorata in testate e programmi vicini al centrodestra, ora subisce dal Pdl il trattamento riservato ai «nemici» del presidente del Consiglio, anticamera di un metodo Boffo che fa parte degli strumenti di tortura politica che la corte del premier non ha dismesso".
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