“Il lavoro del futuro non è subordinato”

Michele Tiraboschi ha partecipato all'incontro di Confartigianato Varese mettendo in rilievo come il "futuro è nell'impresa artigiana. C'è ancora troppo pregiudizio verso le aziende"

confartigianato tiraboschi gallarate“L’impresa del futuro è artigiana, anche perché mette al centro del paradigma produttivo il lavoro nella sua dimensione educativa e formativa”. Michele Tiraboschi è stato uno dei protagonisti dell’incontro organizzato da Confartigianato imprese Varese sabato 23 marzo al teatro Condominio di Gallarate. 

“Flessibilità e crescita del capitale umano: il lavoro che cambia” è un tema caldo e Fabio Savelli, giornalista del Corriere della Sera, ha stimolato il professore di Diritto del lavoro su diversi punti. 
Di fronte a una sala piena, Giorgio Merletti, presidente nazionale di Confartigianato, ha aperto i lavori e non l’ha mandata a dire al Ministro del lavoro. “La riforma Fornero è un fallimento, ci ha portato in mezzo al guado, ma non dall’altra parte. Più che un professore serviva un bravo bidello. In questi giorni nel mondo della politica non si parla di lavoro e oggi non abbiamo molte soluzioni”.
Michele Tiraboschi è partito proprio dalle nuove norme del ministro Fornero. “Una riforma che vuole andare bene per tutti non serve a nessuno. Il nostro Paese ha bisogno di maestri e di professori. Il mondo artigiano ci insegna la bellezza del fare un mestiere. Ognuno di questi è importante. Il modello produttivo del futuro è quello artigiano, perché mette al centro le persone che lavorano e queste sono il cuore dell’impresa. La grande impresa ha una logica verticistica e il lavoratore è solo un numero. Nell’impresa artigiana è invece un protagonista che non esegue, ma usa la propria intelligenza”.
confartigianato tiraboschi gallarateIl professore non ha timori nell’esprimere il suo disappunto su diversi punti della nuova riforma. “La legge Fornero sull’apprendistato non dice nulla di buono, e toglie ogni flessibilità portando l’imprenditore a usare sempre di più questa forma contrattuale anche quando non è corretto. Non possiamo far conto sulla politica perché nessuno ha una vera proposta. Aspettare dal Governo una vera riforma è inutile. Dovremmo tornare a logiche bilateriali e partecipative come prevedeva la legge Biagi. Il vero maestro è quello che dimostra  di saper fare quello che dice. I nostri ragazzi hanno percorsi di formazione inutili. L’apprendistato in alcuni paesi è offerto a 15 anni e questo, di fatto, è un modo di fare scuola, di insegnare un mestiere. Noi abbiamo una media nazionale di quasi il 40% di disoccupazione giovanile rispetto al 12% degli adulti. Nel resto dell’Europa è paritario e questo perché lì hanno percorsi di formazione seri e utili. Da noi non esistono analisi delle competenze che richiede e richiederà il mercato. Mancano progettisti che conoscano i mestieri. Da noi l’apprendistato non nasce dall’integrazione tra scuola e lavoro e lo Stato vuole mettere un bollino che certifichi le competenze, cosa che invece dovrebbe vedere protagonisti i soggetti attivi del mercato, quali le imprese artigiane”.
Il tema non è il formalismo giuridico, prosegue Tiraboschi. “Il contratto regola il rapporto, ma non determina come deve essere il lavoro. Il contratto prevede un trattamento di parità retributivo, mentre questo dovrebbe dipendere dalle competenze. Senza di queste non c’è impresa”.
Un altro tema centrale è quello della cultura d’impresa. “Spesso i figli – spiega Tiraboschi -non vogliono seguire il lavoro del padre. Noi vogliamo un futuro migliore per i nostri figli. Pensiamo che il successo sia legato allo status, quasi come che se uno scegliesse il lavoro manuale fosse un segnale che non sia riuscito nella vita. Si alimenta un pregiudizio e si pensa di maggior valore il fare l’Università. Spesso i ragazzi non vengono portati dentro le imprese. Il lavoro del futuro non è subordinato, ma richiede capacità, creatività e immaginazione. Il lavoro manuale richiede l’uso della testa. Oggi si deve saper gestire processi complessi che richiedano intelligenza. Purtroppo pensiamo che questi lavori siano di serie B. L’Università dovrebbe aprire le menti, ma anche insegnando a fare qualcosa di concreto. Invece non abbiamo scuole che sappiano fare impresa. Le business school servono a formare manager, ma questo non è tutto. Il pluralismo del lavoro è la ricchezza. Il contratto unico mi sa di stalinismo perché rendere tutti uguali non ha senso. Occorre capire che valori e visioni abbiamo”. 
Un ultimo argomento riguarda le forme della rappresentanza. “Abolirle – sostiene Tiraboschi – sarebbe un errore, ma dobbiamo saperle reinterpretare perché abbiamo bisogno di prossimità che ci aiutino ad affrontare questo momento molto complesso. Basta guardare l’evoluzione della tecnologia. L’impresa non è un fortino che vive solo al suo interno, ma vive all’interno della comunità. Occorre saper parlare con le scuole e per questo le associazioni sono fondamentali. Occorre saper leggere il territorio”.
Su questo è intervenuto Mauro Colombo, direttore di Confartigianato imprese di Varese. ”Le associazioni devono accogliere la sfida del cambiamento e rappresentare gli strumenti per aiutare le imprese. Le opportunità per darsi soddisfazione molte volte qualcuno le ha in casa e così si permette il ricambio generazionale. Si avverte una capacità di rinnovarsi. Il nostro compito, come associazione, è scovare questi casi e raccontarli per valorizzare la cultura di impresa. Spesso invece l’imprenditore viene vissuto come qualcuno che fa cose negative. Abbiamo, invece, figure eroiche che sono importanti per il territorio. Occorre senza dubbio una visione globale che permetta di muoversi su scenari ben più grandi. Anche su questo possiamo fare molto. Dobbiamo lavorare molto anche sulla scuola e la formazione. Non è lo Stato che deve stabilire le cose, ma il mercato e le imprese”.
Molti gli interventi delle persone in sala che hanno partecipato all’incontro. Al centro il lavoro e le sfide che le imprese devono sostenere. Tiraboschi ha messo in rilievo come “c’è ancora troppo pregiudizio culturale sull’impresa. Non si riconosce ancora la figura del maestro artigiano e non si coglie la valenza positiva del lavoro. Se un ragazzo non viene formato anche al fare, la scuola non serve a niente. Abbiamo bisogno di una scuola fatta direttamente anche dall’impresa per insegnare a farla. Dobbiamo riprestinare la scuola artigiana. Va ricreato un clima di fiducia”.

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Pubblicato il 23 Marzo 2013
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