La memoria dei centri culturali e delle mamme di plaza de Mayo

Il team varesino di Progetto Zattera ha incontrato diverse realtà italiane nella capitale argentina. Ha girato per le scuole e parlato con personalità la cui storia è intrecciata tra Argentina e Italia

In questi giorni il team di Progetto Zattera ha portato i suoi spettacoli nelle scuole italiane di Buenos Aires, ed è questo il motivo per cui il tour è sia in spagnolo sia in italiano. Hanno incontrato la giornalista Vera Vigevani, giornalista italiana emigrata in Argentina nel 1938 perché ebrea, che li ha guidati in un centro culturale. I centri culturali argentini sono una delle testimonianze più belle che rimangono del periodo della dittatura, per via del carattere simbolico che assumono: erano i posti dove si riunivano le persone che non aderivano al regime per produrre arte di qualsiasi forma. Era una forma di resistenza, in qualche modo. L’Argentina sembra desiderosa di proiettarsi nel futuro consapevole della sua memoria, anche se c’è ancora molto lavoro da fare.
Il viaggio della compagnia teatrale varesina è iniziato i primi di luglio. Qui potete leggere le altre tappe e l’idea da cui è nato il progetto. 

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Il Teatro Zattera in Argentina – 3 4 di 18

“Segui el aire” mi ha detto un bambino di circa nove anni e, pensandoci bene, è una frase molto ripetuta qui a Buenos Aires. È un modo di dire, come: “fai quel che vuoi”, ma implica il seguire qualche cosa che ti dia maggiore certezza, che trovi il senso alle tue azioni.
 
Così sarà stato circa 37 anni fa quando le madri come Vera Vigevani si ritrovavano nella plaza de Mayo a chiedere dei loro figli al governo argentino e un militare nella piazza con la voce rauca urlando disse “circolare”.
Oggi Vera, nonostante i suoi ottantatrè anni, percorre la città da una parte all’altra per andare nelle scuole a raccontare quanto siano fondamentali i processi ancora aperti, in particolare quello del’Esma, dove e’ scomparsa sua figlia. Ieri davanti a un pejerrey di fiume alla griglia, con il suo bel sorriso in faccia, racconta che “non importa se il processo sta diventando lungo perché la giustizia ha il suo corso, il suo naturale tempo nel costruire e ricostruire i fatti”.

In questo processo ci sono 900 testimoni, per circa 34 accusati, e ogni testimone, ha visto ha sentito un nome o un volto, e deve raccontare alla giustizia argentina, che quella vita, in quegli anni era nella ex Esma, sotto lo sguardo criminale del generale Massera.
E quelle strutture, con tantissimi parchi intorno, sono diventate centri culturali e laboratori d’arte, per difendere la democrazia, costruendo ponti carichi di memoria durante gli anni violenti.

Per esempio nel centro culturale Haroldo Conti, che porta un nome di uno scrittore scomparso, come ci raccontano il direttore Javier Margulis e Vera, vengono promossi i diritti umani, attraverso la presentazione di spettacoli, mostre d’arte, concerti, conferenze. Il direttore confessa le sue difficoltà a gestire i costi: “Non ho un budget per tutto il programma che vedete, ma tutte l’iniziative per le scuole (circa 7.000 partecipanti a semestre) e per il pubblico in generale (circa 30.000 al mese) sono gratuite perché devono e hanno il diritto di guardare questo luogo, che è stato un luogo di morte, con altri occhi”.

Per approfondire l’argomento dei centri culturali durante la dittatura argentina, puoi leggere anche: L’Argentina vive ancora il dramma della sua identità  

Da un altro punto di questa metropoli, scendono da un pullmino, puntuali e cariche di coraggio, le madri. Stendono il loro striscione, e come una scena ripetuta all’infinito si mettono in fila, per girare in cerchio intorno al monumento che rappresenta in un modo o nell’altro le origini della democrazia argentina. L’emozione più grande è vedere plaza de Mayo di giovedì, la piazza si riempie lentamente, sembra un luogo dove ancora oggi gli assenti hanno un volto e una voce. E vedendo quel volto segnato dalla storia personale ti accorgi subito che la democrazia è qualcosa che richiede un forte impegno politico e di solidarietà, verso quel qualcuno sconosciuto che e’ stato abbandonato violentemente dalla storia.

In piazza stanno già attendendo sette ragazzi di quindici anni che stano intervistando una mamma di plaza de Mayo, e traspare un forte interesse che prevale sull’ammirazione, loro vogliono avere molto chiaro cosa vuol dire partecipare alla democrazia. Hanno gli sguardi teneri e decisi, con un quaderno in mano (quello ancora azzurro, tipico delle scuole dell’obbligo) ascoltano attenti. Loro sanno chiaramente di far parte di un futuro che richiede ed esige la loro attenzione, che nasce dalla comprensione storica o dalla forza partecipativa della democrazia.
 
Le notizie di questi giorni sono che la presidente Cristina K. Fernandez vuole nominare il nuovo capo del esercito, e qualcuno forse ha voluto fare uno scherzo alla storia, perché il general Maldini, con un cognome italiano, non ha fatto i conti con il passato.
 
L’Argentina che stiamo vivendo in questi giorni cambia volto, immersa nel presente, con la memoria in mano e la voglia di uscire per sempre dalla violenza degli anni ottanta. Non può far finta di niente: c’è tanto da fare ancora per una giustizia sociale che manca, verso chi ancora non ha accesso a una educazione, a un pasto caldo e a un lavoro retribuito.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 31 Luglio 2013
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