Modena City Ramblers: “Musica e parole per raccontare di oggi e di ieri”
Il gruppo sarà in concerto venerdì 7 luglio all'Albizzate Valley Festival (in apertura i Casino Royale). Massimo Ghiacchi, bassista del gruppo, racconta dell'ultimo disco e non solo
Alla fine si parla di rane. Rane bollite e rane che attraversano la strada ma sono solo metafore per raccontarsi la realtà di oggi. Al telefono c’è Massimo Ghiacchi, musicista e bassista dei Modena City Ramblers intento a spiegare “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, l’ultimo album del gruppo. Diciotto tracce che ben fotografano la realtà di oggi tra musica e parole. Dopo vent’anni di attività infatti, il gruppo non ha smesso di fare quella che in questa intervista verrà definita “musica
impegnata” e presenta un album dove cronaca e suggestioni poetiche si mischiano, raccontando il cinismo del presente e la speranza del futuro. Basta pensare a "La Luna di Ferrara", dedicata a Federico Aldrovandi, a "Pasta nera" e "Occupy World Street", dedicata ai movimenti di lotta nati negli ultimi anni.
Un disco dalla doppia anima. Al lato rock e aggressivo, corrisponde quello più poetico e tradizionalmente folk. Brani che il gruppo porterà anche all’Albizzate Valley Festival nella serata di domenica 7 luglio (in apertura ci sono Casino Royale) e che vede il loro grande ritorno in provincia.«Questa data ci fa molto piacere. Abbiamo suonato diverse volte al Nautilus a Cardano al Campo ma non ricordo date all’aperto. Sono felice di sapere che il festival a cui siamo stati invitati è organizzato da una realtà giovane e che va avanti grazie alla passione, affrontando le tante difficoltà che ci sono oggi nell’organizzare i concerti al giorno d’oggi». Per comprendere l’enigmatica metafora delle rane invece, basta scorrere tra le parole di Massimo Ghiacci quando parla di musica, vita e valori.
Un album di musica e di contenuti. Perché la scelta di farlo uscire doppio?
«Avevamo l’esigenza di pubblicare un disco dalle molteplici sfumature e che non richiedesse un ascolto disimpegnato. Il tutto è nato dall’idea di assemblare le storie dell’Italia. Una volta scelti i pezzi e la scaletta abbiamo visto che non ci stavano tutti in un unico cd e così, abbiamo deciso di farne due. Abbiamo rivoluzionato tutto e riposizionato i brani secondo la loro anima, più che per il loro ritmo. Il prezzo, da uno a due, è rimasto invariato e questo è stato fondamentale per confermare la decisione di stampare il doppio disco. Ci piaceva molto l’idea che, in periodo in cui la musica viene vissuta come qualcosa di frammentato e lontano, potessimo dare in mano al nostro pubblico qualcosa di concreto e studiato in ogni suo particolare».
“Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Perchè questo titolo e da dove arriva?
«Nasce dal titolo di un libro scritto nel 1929 da Erich Maria Remaque, che narra la storia di un soldato in trincea. Il racconto e le sensazioni di quel libro fotografano bene la realtà in cui viviamo: l’incapacità di pensare ad un futuro diverso, la percezione di essere alla deriva e sapere cinicamente che nulla cambierà. Le storie del disco sono un continuo dialogo tra gli elementi di condanna al non cambiamento e suggestioni che fanno sperare in un futuro diverso. Con la nostra musica ci siamo sempre posti delle domande sulla realtà in cui viviamo e abbiamo sempre cercato di dare suggestioni per rispondere. Le canzoni sono come dei quadretti che si collegano tra loro e riportano i fatti di oggi».
Come si fa a non perdere quella speranza oggi?
«Non ho leggi o soluzioni. Credo che avere la possibilità di crescere in una società come che ti dà la possibilità di conoscere e avere una visione del mondo non miope sia già una grande fortuna. Si può conoscere, informarsi, sapere e poi decidere se usare il nostro cervello o seguire quello che ci viene calato dall’alto. Capire il meccanismo ed essere capaci di pensare con la propria testa è una scelta. Oggi viviamo in una realtà che si è separata dall’idea del conflitto sociale di cui si parlava negli anni ’70 ma forse gli elementi per cui questo esisteva ci sono ancora. Penso al precariato violento che vivono i giovani oggi e che ha scardinato completamente l’idea di vita e di futuro che i nostri genitori ci hanno propinato per anni. Credo che in qualche modo prima o poi ci si ribellerà, non parlo di rivolte in piazza ma di una consapevolezza collettiva diversa.
Tornando alla speranza, credo nelle persone che lavorano nel volontariato e nelle associazioni, persone che investono negli altri e nella cultura. Credo che la cooperazione sociale sia un grande valore ed è un peccato che la politica non riesca capirlo».
La musica è un modo per mandare messaggi importanti…
«Siamo consapevoli del nostro ruolo, siamo dei cantautori e non vogliamo passare come coloro che esprimono sentenze. Siamo la piccola voce di una comunità legata dagli stessi valori, penso all’equità di giustizia sociale per esempio o al mettersi in gioco nella vita senza mai dimenticare chi è meno fortunato di te. Ogni parola espressa è figlia di una riflessione profonda e figlia della maturità che, aimè, è dettata anche dagli anni che passano. Detto questo, sappiamo che avere persone che ci seguono è un grande privilegio e ne facciamo tesoro»
Fate musica da vent’anni, come resiste un progetto così?
«Resiste per il fatto di continuare a ricevere la stessa gratificazione di un tempo nell’essere i Modena City Ramblers, credere nel progetto e riconoscersi negli stessi valori. Chi ha abbandonato la formazione, negli anni, penso a Cisco ma anche ad altri prima di lui, l’ha fatto perchè non sentiva più che le cose erano così e credo che ammetterlo sia un grande atto di sincerità».
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