Delocalizzare negli Usa non è facile

Chi vuole acquisire aziende Oltreoceano deve fare i conti con regole fiscali complicate, un'eccessiva litigiosità e il controllo stringente delle authority. Il sistema americano ha però un grande pregio: dà fiducia assoluta al contribuente. Ne hanno parlato alla Liuc Massimiliano Rigo (Kpmg) e Andrea Oggioni (Funaro & Co)

Il fisco americano a ben vedere non è meno barocco di quello italiano. Tre livelli di imposizione (federale, statale e cittadino) e una quantità notevole di regole che variano da stato a stato con altrettanta modulistica da compilare. C’è però un aspetto fondamentale che lo distingue in modo netto dal nostro sistema: la fiducia totale del fisco nei confronti del contribuente.
Il tema è stato affrontato alla Liuc in un seminario dal titolo "Aziende italiane controllate negli Stati Uniti: organizzazione, fiscalità e controllo interno", promosso dall’ateneo di Castellanza in collaborazione con Kpmg e Funaro & Co, nell’ambito del master Cfo (chief financial officer) in direzione, amministrazione, finanza e controllo di gestione tenuto dalla professoressa Catry Ostinelli.
I due relatori Massimiliano Rigo di Kpmg e Andrea Oggioni dello studio Funaro, quest’ultimo da sette anni a New York e a sua volta “allevato” all’interno della squadra di Ivan Spertini (equity partner Kpmg), hanno tracciato un quadro preciso del sistema fiscale americano, utile agli imprenditori presenti. «Io seguo molti gruppi italiani all’estero – ha detto Rigo – ma non basta un revisore e non basta nemmeno skype, occorre andarci fisicamente perché le attività di lobbying negli Usa sono fondamentali soprattutto con le authority».
Negli Stati Uniti non ci sono barriere doganali tra stato e stato, anzi, esistono sistemi di competitività fiscale per incentivare le imprese a trasferire le loro produzioni. Un po’ come accade in Italia con la Svizzera che, offrendo condizioni migliori dal punto di vista della tassazione, incentiva gli imprenditori italiani a delocalizzare nei vari cantoni. «Gli americani – ha sottolineato Rigo – non sono contenti quando gli stranieri vanno da loro a fare acquisizioni. In alcuni settori, ritenuti strategici, come ad esempio l’energia, ci sono forti limitazioni. Ogni mossa è monitorata attentamente soprattutto gli acquisti di terreni. Insomma, non si puo’ fare nulla senza aver prima notificato le proprie attività alle singole autorità».
In America esistono due tipi di società: quelle quotate in borsa e quelle non quotate. Per le prime le regole previste dalla Sec (l’ente americano preposto al controllo della borsa valori, la Consob americana per intenderci), soprattutto dopo gli scandali Enron e Madoff, sono molto severe; per le seconde sono richiesti meno requisiti. «Il mondo delle società non quotate – ha precisato Rigo – sorprende perché spesso si trovano aziende ben al di sotto degli standard contabili italiani. Non devono depositare un bilancio e nemmeno sottoporlo a revisione, tranne che si tratti di società che operano nel settore finanziario, assicurativo o abbiano sviluppato un franchising».
Non c’è un capitale sociale minimo e ci sono società che vanno avanti con un patrimonio negativo, in Italia sarebbe impensabile perché subito verrebbe il sospetto che ci si trovi di fronte a una bancarotta. «Le perdite finali – ha sottolineato Oggioni – possono essere portate avanti anche per vent’anni. Ma se da uno a tre anni per il fisco è un tempo accettabile, dopo si possono avere dei controlli. Ti mandano una lettera ed entro trenta giorni devi presentarti con i documenti. In genere anche se hai un grosso problema sono più gentili che da noi e se hai diritto a un rimborso fiscale questo ti arriva nel giro di un mese».
C’è un altro punto delicato, la litigiosità, perché negli Usa si fa causa su tutto. «I costi legali sono spaventosi – ha spiegato Oggioni – e bisogna metterli in conto anzi è meglio inseriti già nel business plan. Le cause durano molto meno che in Italia, ma un avvocato a New York costa mediamente dai 700 ai 1000 euro all’ora».
Non è dunque per niente facile entrare nel mercato americano dal nulla e questo è il motivo per cui la via più frequente scelta dagli italiani è l’acquisizione di aziende già esistenti. Il consiglio finale dei due consulenti per chi ha delle società controllate Oltreoceano è il seguente: «È meglio avere un referente negli Usa non solo con il potere di firma ma anche con una certa autonomia decisionale».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Ottobre 2013
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