Formidabili quegli anni. Fiorenzo Croci lascia il Cavedio
Il fondatore di una delle associazioni culturali più importanti della città lascia spazio a un gruppo di giovani. Le varie attività, da VareseCorsi alle scuole di scrittura, passando per la formazione, danno lavoro a 6 persone
Sono passati 17 anni da quando Fiorenzo Croci decise di dare una svolta alla sua vita e, con un po’ di sana audacia, a quella della sua città. Di associazioni culturali a Varese ce ne sono tante, ma il Cavedio è la prova provata che con la cultura si puo’ mangiare e contribuire alla crescita della comunità. Sono 6 i giovani che in questi anni hanno trovato un’occupazione stabile nell’associazione che ha la sede operativa nell’ex liceo musicale: una parte segue l’attività di VareseCorsi, svolta in convenzione con il Comune di Varese, mentre gli altri si occupano delle diverse iniziative culturali che comprendono la pubblicazione di libri, la realizzazione di un nuovo circuito chiamato Insubria Rete, per l’organizzazione di corsi a Malnate e a Gallarate, e tanta, tantissima formazione.
(foto: in primo piano Fiorenzo Croci e Stefano Frigo)
Croci, perché ha deciso di farsi da parte?
«Perché c’è un tempo per ogni cosa e quando hai dato il meglio di te stesso è giusto lasciare spazio. Io la mia parte l’ho fatta, ora tocca a chi è proiettato nel futuro. Ho apprezzato il fatto che i ragazzi lo spazio se lo sono preso, perciò largo al nuovo e al bello che avanza. E poi, c’è già una nuova presidente, Francesca Rigano, e un nucleo di giovani in gamba che rispondono al nome di Stefano Frigo, Francesco Ferrara, Giovanni Dacò, Sara Grippo e Stefania Veneroni. L’ordine è puramente casuale».
Che cosa è cambiato nell’associazione in questi anni?
«Siamo nati nel 1997 come centro di cultura yoga. Con il tempo abbiamo fatto un po’ di tutto, ma il periodo più prolifico è stato tra il 2000 e il 2005 quando la sede di via Cavallotti era una vera fucina di idee e le cose avvenivano naturalmente. Lì sono nati scrittori, complessi musicali, poeti e operatori culturali. Formidabili quegli anni. Nell’ultimo periodo abbiamo fatto molta formazione, perché era il momento di capitalizzare tutte quelle esperienze, trasformando le varie opportunità in veri posti di lavoro».
Perché il modello del Cavedio ha funzionato anche dal punto di vista economico?
«Perché il momento culturale è diventato un momento della comunità, insomma: abbiamo risposto a un bisogno esistente. E poi io non distinguo tra la parte economica e quella culturale, sarebbe un errore. La visione di un progetto le deve comprendere entrambe».
Come avete fatto a costruire la vostra rete di relazioni?
«In qualche modo abbiamo anticipato quella che oggi gli esperti chiamo weconomy, se vuoi lavorare devi cercare delle partnership come abbiamo fatto per VareseCorsi. Per noi il lavoro è sinonimo di relazione che oggi vuol dire una collaborazione con circa 90 associazioni e un numero enorme di persone tra i 20 e i 40 anni che sono il nostro osservatorio avanzato sulla realtà».
Mi fa un esempio di relazione che diventa lavoro?
«Siccome i ragazzi sono più avanti di me, a un certo punto hanno capito che se si continua a parlare di multiculturalità e non si parte dall’elemento che la rende tale, ovvero le lingue, non si va da nessuna parte. Così hanno fatto un accordo con l’istituto dei mediatori linguistici di Varese, portando al Cavedio gli studenti migliori per dargli una possibilità di insegnamento ai corsi. Ebbene, si sono rivelati molto preparati, motivati e attenti. Questa risorsa l’abbiamo utilizzata anche per le traduzioni delle nostre pubblicazioni».
Che cosa farà adesso che lascerà il Cavedio?
«Ho un po’ di progetti nel cassetto a partire dal potenziamento della scuola di scrittura on line che è la mia vera passione e poi la pubblicazione di un nuovo libro. Il titolo è ancora top secret».
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