Secchiate comunicanti
"Dare un nome alle cose, farle conoscere, raccontarle, perfino anche con i mezzi del gioco, non è fiato sprecato, non è ghiaccio sprecato, in questo caso"
Ecco la penso esattamente così
"La #icebucketchange, cioè la secchiata gelata, è un fenomeno che offre filo da torcere ai teorici della comunicazione di massa, delle reti e dei nuovi media. È l’unico "tormentone" vero di quest’estate, e come tutti i tormentoni unisce e divide, ognuno ha una sua opinione a riguardo, ma comunque sta lì, al centro della piazza e non puoi evitare di farci caso. Io sono per vedere i bicchieri mezzi pieni, e in questo caso anche i secchi, e considero positiva l’onda che si è generata. Anche i criticoni più accesi, che nell’epoca di internet hanno sempre occasioni di fare baldoria, alla fine partecipano alla diffusione del contenuto della secchiata, che non è solo acqua ghiacciata, c’è dentro una sigla: SLA, una malattia grave che in questi giorni ha fatto parlare molto di se, e ci sono milioni di persone nel mondo che adesso sanno che esiste, e questo nell’epoca della distrazione di massa è un risultato brillantissimo. Poi c’è la raccolta delle donazioni, che è il secondo risultato positivo (anche se sostengo che le sorti della ricerca non possono essere solo affidate al buon cuore dei cittadini, ma devono esserre una parte importante della spesa degli stati, che poi avviene grazie alle tasse pagate dai cittadini, e naturalmente delle aziende farmaceutiche, che sono giganti economici multinazionali, controversi ma importantissimi).
È un risultato globale come è globale questa malattia che non controlla i passaporti e come, sempre di più, sono globali la scienza e la ricerca. La comunità scientifica è sempre più connessa globalmente, un po’ come la musica e lo sport, e questo è un aspetto bello della nostra epoca, ottenuto grazie ai mezzi delle reti.
C’è stato un grande teologo/scienziato/filosofo che si chiamava Pierre Teilhard De Chardin e che è vissuto senza fare in in tempo a connettersi a un modem. Lui parlò di una cosa chiamata "noosfera", una specie di biosfera delle informazioni e della conoscenza, nella quale gli uomini hanno la possibilità di un salto quantico, a prescindere dal luogo dove nascono e dove vivono. I vasi comunicanti, perfino le secchiate comunicanti, hanno ripercussioni importanti, la nostra generazione assisterà a grandi passi in avanti nella cura di molte malattie, e la comunicazione fa la sua parte in questo percorso. Dare un nome alle cose, farle conoscere, raccontarle, perfino anche con i mezzi del gioco, non è fiato sprecato, non è ghiaccio sprecato, in questo caso".
C’è stato un grande teologo/scienziato/filosofo che si chiamava Pierre Teilhard De Chardin e che è vissuto senza fare in in tempo a connettersi a un modem. Lui parlò di una cosa chiamata "noosfera", una specie di biosfera delle informazioni e della conoscenza, nella quale gli uomini hanno la possibilità di un salto quantico, a prescindere dal luogo dove nascono e dove vivono. I vasi comunicanti, perfino le secchiate comunicanti, hanno ripercussioni importanti, la nostra generazione assisterà a grandi passi in avanti nella cura di molte malattie, e la comunicazione fa la sua parte in questo percorso. Dare un nome alle cose, farle conoscere, raccontarle, perfino anche con i mezzi del gioco, non è fiato sprecato, non è ghiaccio sprecato, in questo caso".
Lorenzo Jovanotti Cherubini
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