“Ho denunciato, ma ho avuto paura per il mio lavoro”
La memoria che l'avvocatessa varesina ha spedito alla procura di Brescia, dopo aver denunciato il giudice di pace per molestie
Ecco stralci di una memoria di una delle avvocatesse che ha denunciato le molestie sessuali avvenute nell’ufficio del giudice di pace. La lettera è stata spedita, l’estate scorsa, al pm Eliana Dolce e si trova agli atti. E’ il documento di una parte coinvolta nell’indagine: sono accuse che un processo dovrà accertare se essere veritiere o meno, e dunque va trattato come tale, sapendo che le difese, nei prossimi giorni, potranno rispondere nelle sedi opportune. Tuttavia si tratta di una testimonianza importante che ha contribuito all’arresto del giudice onorario, e che se tutte le accuse saranno confermate, fa riflettere, soprattutto in relazione all’aspetto umano e non solo, della vicenda.
(R.R.)
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Parecchie volte ho pensato di denunciare quanto accadeva, ma ho sempre avuto paura di non essere creduta. Temevo di ricevere una contro querela per calunnia. Il più grosso ostacolo è stata la mia professione. Conosco le conseguenze per le vittime di tali abusi. Purtroppo, nella mia vita professionale, ho assistito a diversi processi di abusi sessuali. La vittima viene quasi sempre dipinta quale una pazza, una bugiarda, si accerta la Sua capacità di essere testimone, la Sua attendibilità, i riscontri, ecc…I pochi testimoni non si ricordano o si ricordano male. La mia parola sarebbe stata contro quella di un Giudice. Psicologicamente non avrei retto una vicenda giudiziaria. Avevo paura che anche gli altri Giudici e i colleghi potessero crearmi problemi sul lavoro e soprattutto, in caso di assoluzione del Giudice, che tutti temessero la mia presenza.
Spesso mi trovo chiusa in una stanza con un Giudice o con un PM e se venissi qualificata quale “quella che si inventa gli abusi”, credo che tutti potrebbero aver paura di me. (……)
Esigo rispetto da chi è attorno a me. Per recarmi a lavoro ogni mattina devo compiere un grosso sforzo e un grande sacrificio di tempo e non posso accettare che alle 9.30, sul luogo di lavoro, qualcuno si permetta di darmi il buon giorno con parolacce e abusando di me. (……)
Ho pensato a tutta la vicenda e in quel momento mi è apparsa incredibile, ho capito che non avrebbe mai avuto fine, mi sono sentita una stupida, una codarda. Ho percepito un dovere morale nei confronti delle mie giovani colleghe. Ho pensato a loro, perché a me purtroppo è andata come è andata. La paura era comunque tanta, sostanzialmente non era mutato nulla: la mia parola contro la sua. Un uomo con mille rapporti tra forze dell’ordine, temevo di confidarmi con la persona sbagliata. Dopo l’ultimo abuso …. ho davvero compreso di essermi finalmente liberata da quella soggezione in cui sono stata per quasi 10 anni (……)
Ho raccontato l’ultima violenza subita a mio papà. Mi ha consigliato di parlarne immediatamente con la polizia e si è offerto di accompagnarmi. (……) All’indomani mi sono avvicinata all’Avv. OMISSIS e gli ho chiesto un consiglio da legale. Era molto disponibile, mi ha creduto perché sapeva di un’altra collega che aveva subito un abuso e mi ha consigliato di andare con i piedi di piombo e di non parlarne con altri.
Ho successivamente assunto il seguente comportamento: ho avvisato un mio collega mio amico Avv. OMISSIS di non mandare mai la sua giovane praticante sola, ho parlato dell’ultimo abuso con l’Avv. OMISSIS, mio amico, e con una guardia.
Mi sentivo pronta ad accettare qualunque esito di un eventuale processo. Ho contattato anche Le Iene, ma non ho acconsentito di entrare in quella stanza con una microspia addosso, come da loro proposto. Mi pareva una manovra troppo sporca.
Ne ho parlato con diverse persone perché non credo di essere l’unica, speravo di avere il nominativo di altre colleghe per poterlo denunciare congiuntamente.……
L’avvocatessa che ha denunciato
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