Il bomber frontaliere: “La Svizzera ci vuole”

Immigrati per lo sport, accolti a braccia aperte e a discapito del calcio italiano. La storia di un attaccante che poteva sfondare, e invece è finito in Canton Ticino

I frontalieri non sono tutti sgraditi in Svizzera. C’è infatti una categoria di lavoratori che il Canton Ticino vuole, eccome. Sono i calciatori dilettanti, trattati bene dalle società ticinesi, a cui spesso i presidenti, che in fondo sono imprenditori locali, offrono un lavoro. È accaduto, ad esempio, a un difensore centrale albanese di 25 anni di Varese, su cui il Cantello calcio aveva costruito, in estate, la propria formazione per la seconda categoria, ma che oggi gioca e lavora in Svizzera. Beato lui, verrebbe da dire.
Un classico bomber frontaliere è invece Matteo Cipolletti, 29 anni, un ragazzo di Ponte Tresa considerato una vera promessa del calcio giovanile lombardo. Tre stagioni a Mendrisio, poi un infortunio, il ritorno a Ponte Tresa e oggi un posto fisso in squadra, al Vedeggio: «Quando iniziai a giocare in Svizzera, dopo poco tempo mi chiamò un presidente e mi offrì un lavoro se fossi andato a giocare per loro – racconta – ma rifiutai perchè avevo studiato economia del turismo ed ebbi l’opportunità di lavorare in un’agenzia di viaggi in Italia. Oggi invece sono impiegato in una ditta edile in Canton Ticino e gioco a calcio nel cantone». La storia di Matteo è uguale a tante altre. Ma in più, dovete aggiungervi una caterva di gol segnati, nei campi di Italia e Svizzera, da questo talento del Varesotto. Matteo ha giocato in molte squadre, tra cui il Legnano e il Varese. Quando ha scelto Mendrisio, lo ha fatto su suggerimento di un allenatore di Marnate che fa da talent scout per le squadre ticinesi. In Italia poteva finire al Pescara, oggi in serie B, ma all’epoca la sua società chiese troppi soldi, agitando il sistema del vincolo fino a 24 anni. In Svizzera invece tutto è libero.

OTTIMO LIVELLO
«Mi avevano parlato male del calcio svizzero – osserva Matteo – e invece il livello è ottimo. E’ un movimento che, a partire dalle giovanili, sta crescendo molto. Ci sono giocatori di tutte le nazionalità e anche la mentalità è più aperta. Curano meno la tattica, ma c’è molta puntualità, si lavora sodo e i campi sono belli». E così abbiamo perso un giocatore che, nel 2008, fece 32 gol in 27 partite con l’Olimpia Ponte Tresa, e l’anno scorso ne ha fatti 23 in Svizzera. Se è vero che un grande problema, spesso, nasce da tanti piccoli errori alla base: beh, forse chi comanda nel calcio italiano dovrebbe farsi qualche domanda.

I TALENT SCOUT E IL POSTO FISSO
L’allenatore che lo portato a giocare in Svizzera è un italiano di Marnate, perché nei campi del Varesotto girano talent scout che poi propongono i campioncini alla Svizzera. Il fenomeno è cresciuto molto per i ragazzini più piccoli, i baby talenti, ma per i grandi c’è la sirena dei rimborsi spese e delle offerte di lavoro. «Il posto che mi offrirono – continua Matteo – era in una ditta farmaceutica. Ma in ogni caso, ambientarmi a Mendrisio è stato facile, e con i sudamericani, africani o altri mi sono trovato subito bene. Il problema dell’Italia è che alcune società, a volte, non ti fanno crescere e pensano solo al guadagno immediato. In questo modo mi hanno fregato due volte, con richieste esose, quando potevo fare il salto di categoria».

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Pubblicato il 23 Ottobre 2014
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