“Educhiamo le imprese ad essere imprenditrici”
Secondo Andrea Granelli, innovazione, tecnologia, giovani e territorio sono gli ingredienti essenziali per una vera R-Evoluzione artigiana
Andrea Granelli, presidente di Kanso, società di consulenza specializzata in innovazione e change management, non ha dubbi: “L’artigianato è un tema di enorme attualità” ed è lui a spiegare come innovazione, tecnologia, giovani e territorio sono gli ingredienti essenziali per una vera R-Evoluzione artigiana.
Dottor Granelli, crede che oggi l’artigianato italiano sia in grado di offrire prodotti innovativi e reggere alle sfide dei mercati internazionali?
«A patto che si dia alcune priorità. L’innovazione è certamente un aspetto essenziale, ci sono aziende che fanno prodotti straordinari e l’Italia rimane un Paese dalla forte creatività, ma oggi la sfida è strutturare l’impresa. Serve che il mondo artigiano si strutturi in modo più profondo e che impari l’arte dell’imprenditorialità, cioè organizzare le risorse e saper lavorare in rete. Non solo quindi rispondere a un bisogno immediato: arriva un cliente mi chiede una cosa e io gliela faccio».
Intende dire che l’artigiano non è un imprenditore?
«Io credo che la sfida oggi sia quella di capire come vanno i numeri, di saper pianificare, di gestire al meglio i propri clienti, di recuperare quelli dormienti, di rendersi conto che costa molto di più creare un nuovo cliente piuttosto che lavorare con uno che semplicemente avevamo perso per strada. Ecco, delle volte si tratta di ritornare ai fondamentali del business. Secondo me bisogna re-insegnare il business».
Che ruolo gioca l’innovazione digitale in questa partita?
«Il digitale sta cambiando il mondo. Sta cambiando il modo di vivere, cambia la religione, il sesso, l’educazione, l’intrattenimento e quindi cambierà anche il modo di lavorare delle imprese. Per quanto riguarda il mondo artigiano non possiamo ridurre tutta la sfida del digitale al fenomeno delle stampanti 3D o dei cosiddetti makers. Tuttavia sono fermamente convinto che il mondo sia molto più artigiano di quanto non si pensi, perché l’artigiano è attento alle cose che fa, è attento a farle bene, è capace di personalizzarle e perché ha un tradizione innovativa».
E quindi, cos’è essere artigiano?
«Se ci pensa, essere artigiano è un modo di interpretare la vita. È il fatto che l’utile, i soldi, non sono il fine ultimo. Sono uno strumento importante, ma sono uno strumento. Il lavoro artigiano va al di là dei quattrini. È il piacere di fare qualcosa di unico e che piace al proprio cliente, che alla fine si guarda in faccia. Un piacere del tutto umano che non verrà mai spiegato dai soldi».
Torniamo un attimo sul digitale. Crede che le nuove tecnologie renderanno l’industria indipendente dall’artigianato?
«Per l’industria, il digitale è automazione. Il sogno dell’imprenditore industriale è avere robot al posto di dipendenti in carne e ossa, e alcuni ci stanno riuscendo, pensiamo ad Amazon. Il sogno dell’artigiano è invece quello di avere la tecnologia per migliorare il proprio prodotto, per fare ancora meglio. L’esempio è un po’ quello del chirurgo. Oggi il chirurgo fa delle cose pazzesche con la tecnologia a sua disposizione, ma chi si sognerebbero di farsi operare da una semplice macchina? E se va via l’energia elettrica mentre siamo sotto i ferri?
Come si colma il gap tra artigianato e giovani?
«Io credo che artigianato e giovani siano molto più vicini di quanto non si pensi. In fondo qual è un buon modo di lavorare per i giovani? Di quali ingredienti deve essere fatto? Se prendiamo un campione di ragazzi e ragazze e gli chiediamo che grado di indipendenza, mobilità e stress si immaginano nella loro vita lavorativa, scopriremmo che alla fine il loro lavoro ideale è molto più simile a un mestiere artigiano che non ad altro. Si tratta di negoziare, avvicinando due parti che oggi non si parlano. Pensate al fenomeno dei makers, è bastato chiamarli così che improvvisamente il mondo si è riempito di makers. Spesso la chiave sta nelle parole e nei valori che esse trasmettono».
Nel mondo 4.0 è ancora importante avere un rapporto con il proprio territorio oppure internet e la rete si sostituiranno anche a questo?
«Io credo che il rapporto tra artigiano e territorio sia fondamentale. Ma questo più in generale nella vita di ogni essere umano. Le radici del nostro territorio ci alimentano e se c’è brutto tempo evitano di essere spazzati via. L’esempio che mi viene più chiaro, considerato il mio ruolo di presidente dell’archivio storico è quello di Olivetti. Se guardiamo la storia dell’azienda scopriamo che è un’impresa glocal, diremmo oggi, cioè totalmente radicata ad Ivrea, ma con un respiro internazionale. Capace di comprarsi la sua diretta concorrente, l’americana Underwood, ma in cui il radicamento con il proprio territorio era assoluto. Adriano Olivetti fece addirittura il piano regolatore della città. Ecco questo è un esempio vero di “glocalismo”. Ecco io credo che serva una forte identità e allo stesso tempo un’apertura totale al mondo».
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