L’Università varesina diventa adulta, in un mondo difficile

Nonostante i numeri sempre in aumento e la crescita del polo culturale a Bizzozero, l'ateneo soffre la crisi di un sistema penalizzato. Gioie e dolori raccontati dal rettore Coen Porisini

Rettore Coen

Lunedì 20 febbraio, l’Università dell’Insubria inaugurerà il suo diciannovesimo anno accademico.

La solenne cerimonia, che vedrà sfilare i docenti togati, sancirà la fine del periodo “adolescenziale” dell’ateneo e l’ingresso in una nuova dimensione.

« Siamo usciti da quella fase problematica in cui si cerca la propria identità – commenta il rettore Alberto Coen Porisini – Oggi sappiamo chi siamo e abbiamo acquistato sicurezza. Certo, non è un periodo facile per affrontare il cammino della crescita, ma, per ora, abbiamo il favore degli iscritti che continuano ad aumentare».

Vuole dire che siete in controtendenza rispetto al calo registrato negli ultimi 10 anni dal mondo universitario?
« Noi abbiamo registrato una crescita continua, con solo un rallentamento dovuto all’introduzione del numero chiuso in un maggior numero di corsi. Comunque, quelle statistiche generalizzano troppo: l’Italia è un paese lungo e copre realtà molto differenti tra loro. Credo che il sistema lombardo  non soffra di queste crisi anche grazie a un mercato del lavoro che riesce ancora a essere ricettivo. L’Insubria, per esempio, ha una percentuale di occupazione dell’80% nell’anno dopo la laurea».

Cresce il numero di studenti ma cresce anche il rapporto con la città?
« Innanzitutto ricordo che l’ateneo è costruito su due sedi, Varese e Como, e offre percorsi uguali o similari per entrambe le città. Venendo a Varese posso assicurare che l’integrazione si è sviluppata molto, il rapporto è decisamente migliorato. L’università ha saputo aprirsi e la città ha risposto. Partiamo dalle tante iniziative in atto con le scuole di tutti gli ordini e gradi per allargarci alle decine, anzi, centinaia di convenzioni, intese, accordi allacciati con tutti i settori della vita cittadina: imprenditoriale, istituzionale, culturale, sportiva.  Questi legami ci permettono di costruire e rafforzare il senso di appartenenza perché noi siamo università del territorio».

Cosa ha permesso di entrare in sintonia con la città?
« Rispetto al passato, è cambiato il modo di porsi. Il mondo accademico ha abbandonato il suo ruolo autoreferenziale. Oggi siamo uno degli attori del territorio, non siamo soli. La svolta è stata resa possibile dallo svecchiamento degli atenei che oggi sono guidati per lo più da cinquantenni che hanno assorbito lo schema della società liquida e si comportano di conseguenza. È finita l’era dei cattedratici».

Varese, quindi, è diventata città universitaria, come aveva previsto quindici anni fa l’allora rettore Renzo Dionigi?
« Il dibattito sulla città universitaria non mi appassiona perché non ne capisco il senso. Il nostro ateneo ha sempre un problema di identità soprattutto all’interno perché non aveva un luogo fisico con cui identificarsi. Ora che abbiamo questa sede, si sta delineando la nostra fisionomia  e siamo in grado di spiegarla agli altri. Il polo di Bizzozero con tutte le aule, i laboratori, il collegio, al mensa, la palestra è un luogo ben definito. Inoltre è aperto alla cittadinanza: circolano gli studenti, i residenti, i bambini. Poi c’è l’offerta culturale che coinvolge molte persone, di tutte le età, e  quella sportiva».

Ma la cittadella è ancora in costruzione. Ha ancora alcuni limiti
« Aver aperto il collegio ci ha permesso di aumentare gli iscritti di fuori provincia. il 5% dei ragazzi è straniero. Il nostro intento è quello di continuare a crescere in questo senso ma non possiamo farlo da soli. Abbiamo avviato un progetto di un “campus diffuso” che coinvolgerà anche i residenti  e associazioni che aiuteranno gli studenti a risolvere i problemi abitativi. È un dialogo appena agli inizi ma stiamo ragionando».

Quando lascerete la sede di via Ravasi?
«Lo svuotamento è già in atto. Entro quest’anno, tutti gli uffici troveranno sede in via Rossi, nei padiglioni lasciati liberi dall’ospedale (Padiglione Rossi). Per il Rettorato i tempi sono più lunghi: si parla della fine del prossimo anno quando l’ATS Insubria svuoterà il padiglione centrale».

In questa riorganizzazione cosa ne sarà di Villa Toeplitz?
«Rimarrà come sede di rappresentanza e per ospitare piccoli convegni. Inoltre resteranno alcuni centri di ricerca come la Rieman Institute, la Scuola di matematica.  Si potranno aprire anche altre funzioni quando e se ripristinate le serre. In quel caso fungeremo da supporto scientifico».

E le sedi di Busto e di Saronno?
«La sede di Busto continuerà a funzionare come sempre mentre quella di Saronno è ormai chiusa. Tutte le attività sono state spostate a Varese. Entro marzo riconsegneremo le chiavi»

Lei rimarrà rettore ancora per un anno e mezzo. Quali sono i suoi ultimi programmi?
« Io spero di compiere tutto ciò che avevo annunciato nel programma elettorale: riuscire a completare le opere infrastrutturale a Bizzozero e gestire la fase più complessa e confusa di Como perché è in atto un processo di allontanamento del Politecnico e per noi si aprono ulteriori spazi».

E a livello accademico?
«Il sistema universitario italiano si è contratto. Dal 2008 ad oggi sono stati tagliati i fondi del 15%.Occorrerebbe ripristinare l’impegno economico mentre andrebbero allentati quei vincoli che ci bloccano nel turn over del personale. Ciò che si fa fatica a comprendere è che non investire nei giovani vuol dire minare la crescita del paese. Guarda caso, l’Italia è l’unico paese dove si fa fatica a uscire dalla crisi. Purtroppo non si vedono spiragli. Non c’è la volontà politica».

Tutto ciò a scapito dei ragazzi che migrano all’estero
« I nostri studenti non migrano negli anni della formazione, se ne vanno dopo, attirati dalle maggiori potenzialità che la ricerca offre all’estero. E nel mondo c’è grande attenzione per i nostri laureati. Noi li formiamo, li rendiamo eccellenze ma non siamo in grado di tenerli. E pura follia»

Mentre da noi non arrivano gli studenti stranieri
« Questo è un altro capitolo e riguarda la forza del mondo accademico di offrire corsi di laurea in lingua inglese. Una capacità che è solo di nicchia».

L’Insubria si appresta a diventare adulta in un sistema che non l’aiuta.

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

Sono una redattrice anziana, protagonista della grande crescita di questa testata. La nostra forza sono i lettori a cui chiediamo un patto di alleanza per continuare a crescere insieme.

Pubblicato il 18 Febbraio 2017
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