Lo strappo di Cattaneo

Il presidente del Consiglio regionale vota contro in direzione nazionale di Alternativa popolare. "Velleitario andare da soli, ma ancor peggio allearci con il Pd. Credo alle autonomie locali e lavorerò per queste"

Avarie

Riprendiamo integralmente la posizione di Raffaele Cattaneo a seguito della direzione nazionale di Alternativa popolare che si è tenuta venerdì 24 novembre.

La Direzione Nazionale di AP si è conclusa con due opzioni alternative: andare da soli o allearsi con il PD. In realtà, dietro un rinvio di facciata sul quale mi sono espresso votando contro (con Formigoni e Albertini), sono emerse scelte politiche molto chiare.

La posizione di chiusura netta a qualsiasi ipotesi di alleanza col centro destra è la più rilevante e la più critica di queste. È una scelta assunta aprioristicamente, sulla base della chiusura di Forza Italia annunciata a Porta a Porta da Silvio Berlusconi, che a me pare una conseguenza in qualche modo inevitabile (ma non irreversibile) delle scelte politiche di AP: dalle elezioni siciliane al sostegno continuo al Governo.

Una scelta quella di chiudere ogni porta a collaborazioni politiche con il centro destra per me incomprensibile e inaccettabile, come ho spiegato nel mio intervento. Innanzitutto per ragioni ideali e di valore: le mie convinzioni più profonde – dal primato della persona e della società sullo Stato ai valori non negoziabili: difesa della vita, della famiglia, della libertà di educazione, sussidiarietà, difesa delle autonomie locali e sociali – trovano posto in tutta Europa nella famiglia politica dei Popolari che è alternativa a quella dei Socialisti. Ma anche per evidenti ragioni politiche: il nostro elettorato è prevalentemente di centro destra, come sono di centro destra i nostri militanti, gli amministratori locali, i dirigenti di AP sul territorio, almeno in Lombardia e nel Nord, ma, a giudicare dal risultato delle elezioni siciliane, non solo nel Nord.

È davvero triste per me vedere come un partito nato col nome di Nuovo Centro Destra arrivi a rinnegare così le proprie origini, la propria storia e la propria naturale collocazione politica fino a rendere quasi una eresia sostenere in Direzione – come ho fatto io – che è ancora possibile lavorare per rafforzare l’area moderata del centro destra, come vero antidoto alla crescita dei populismi e alle derive antieuropeiste. Chi infatti se non i popolari oggi ha il compito storico di contenere tali spinte e di indirizzarle in una prospettiva moderata e di governo, come sta accadendo in molti Paesi europei, ma anche in Regione Lombardia?

Ancor più inaccettabile è la scelta, che ormai si prefigura nettamente come maggioritaria, di preferire a una corsa solitaria una alleanza politica con il PD, entrando organicamente nella coalizione di centro sinistra. I valori del PD sono alternativi ai nostri; non a caso in questa legislatura Renzi lo ha collocato stabilmente nella famiglia politica europea dei socialisti. Le alleanze col PD – dal Governo nazionale alle regioni, alle amministrazioni locali – generalmente non hanno dato prova di buon governo.

Soprattutto il PD ha dimostrato chiaramente di usarci quando gli conviene e di scaricarci senza indugio quando non gli conviene più. Oggi ci cerca perché ha un disperato bisogno di far vedere che ha una coalizione, con qualcuno alla sua destra (AP e Casini) e qualcuno alla sua sinistra (Pisapia, i Radicali, ecc.). Ma non c’è alcuno spazio reale per una collaborazione politica vera, fondata su una visione comune della società e una antropologia condivisa, da cui derivano programmi e proposte omogenee.

Infine anche la scelta di andare da soli a me pare velleitaria e priva di prospettive reali. Con una legge elettorale che per un terzo si basa su collegi uninominali, la scelta solitaria significa certamente scegliere di correre solo sui rimanenti 2/3, sperando di superare la soglia del 3%, per avere accesso al parlamento con una pattuglia di 12/13 deputati e 6/7 senatori, fatto che sondaggi alla mano non può certo essere dato per scontato. Che accadrà però in cambio sui territori, dove 9 regioni e 755 comuni andranno al voto con una legge chiaramente maggioritaria che premia le coalizioni? Il rischio di sterminare una classe dirigente locale, che si vedrà presumibilmente la porta chiusa a qualsiasi alleanza perché le alleanze locali tenderanno a replicare quelle nazionali votando insieme alle politiche, è pressoché certo e mi sembra legittimo domandarsi se salvare lo scranno di 20 parlamentari valga l’azzeramento dei nostri consiglieri regionali e amministratori locali. Un partito infatti non esiste solo in parlamento, ma innanzitutto sul territorio e per la forza della propria base. Ma del nostro bello slogan iniziale “senza base non c’è altezza” da tempo si sono perse le tracce…

Alla luce di queste evoluzione e delle amare considerazioni che ne ho tratto, nei prossimi giorni mi ritroverò con gli amici che hanno condiviso in questi anni sul mio territorio, in Lombardia e altrove un percorso politico che aveva l’obiettivo di rifondare una presenza centrista in grado di mantenere viva la presenza dei valori liberali e popolari propri della tradizione di impegno sociale e politico dei cattolici, insieme ai liberali e ai riformisti, all’interno della coalizione moderata e di centrodestra e con ciò nella politica italiana e nel Governo del Paese, delle Regioni e delle autonomie locali. Un obiettivo al quale credo ancora.

Raffaele Cattaneo

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Pubblicato il 26 Novembre 2017
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