“Tradurre è come iniziare una nuova storia d’amore”

Parla Valeria Bastia, varesina, traduttrice del libro da cui è tratto “Chiamami col tuo nome”, film candidato agli Oscar. Giovedì svelerà i retroscena alla Ubik

Generico 2018

C’è un nome italiano da “tifare” ai prossimi Oscar, ed è quello di Luca Guadagnino, che sta facendo il pieno di premi americani con il film “Chiamami col tuo nome”. Miglior film ai Gotham Awards, l’opera di Guadagnino racconta la relazione appassionata tra un diciassettenne e un giovane universitario, tratta dal romanzo dello scrittore statunitense Andrè Aciman: finora ha ottenuto 4 candidature a Premi Oscar e 2 candidature a Golden Globes.

Con il film, anche il libro, pubblicato da Guanda nel 2008, sta vivendo una nuova vita: vita che in Italia ha un sapore tutto varesino. E’ infatti una varesina la traduttrice dell’opera di cui si parla tanto in questi giorni: e se Aciman è diventato uno scrittore di successo anche qui, è anche merito della sua traduzione.

Ma come è nata la versione italiana del libro, e quanto conta il lavoro chi “mette mano” ad un’opera altrui per renderla comprensibile in un’altra lingua? Questo, e anche altro, sarà occasione dell’incontro di giovedì 1 febbraio, alle 18 alla Ubik di Varese, in piazza Podestà: e a conversare con Valeria Bastia (è lei la traduttrice del romanzo) sarà Ambretta Sampietro. Abbiamo provato a farle qualche domanda, in attesa della serata: «Compirò fra poco 45 anni, sono varesina e da qualche anno abito a Samarate con il mio compagno Paolo, con cui condividevo già i campi da pallavolo una trentina di anni fa: poi ci siamo ritrovati, ed eccoci qui – esordisce Valeria – Ho un gatto che adoro, si chiama Lilla ed è un maschio, anche se sta in pensione permanente dai miei genitori. Attualmente la mia professione principale è insegnante di spagnolo presso l’ITE E. Tosi di Busto Arsizio, uno dei motivi per cui, tra l’altro, mi sono trasferita».

“TRADURRE: OGNI VOLTA UNA NUOVA STORIA D’AMORE”

Valeria ha cominciato a tradurre nel 2003: «nel 2002 lasciai il mio lavoro di assistente al direttore della comunicazione di Samsonite per iniziare le scuole civiche per interpreti e traduttori a Milano – spiega – avendo la laurea in lingue, ho seguito solo il biennio di specializzazione in traduzione letteraria, ambito in cui ho sempre lavorato. Il mio primo libro uscì per Fabbri Editori, si intitolava I segreti dello scorpione, un bellissimo libro per ragazzi; mi affidò il lavoro Beatrice Masini dopo avere ricevuto una mia lettera in cui mi proponevo come traduttrice. Penso di essere l’unico caso in Italia, di solito non funziona così nel giro…»

Poi Valeria traduce Guanda, Mondadori, Feltrinelli, Frassinelli e Garzanti: «Per una decina d’anni mi sono occupata di traduzione a tempo pieno, anche sottotitolaggio di film, telefilm e documentari».

Di Aciman ha letto tutti i libri: «Per me motivo di grande orgoglio – spiega – Ma ricordo con onore anche la traduzione dell’autobiografia di Wole Soyinka, premio Nobel per la pace. In generale sono stata fortunata (e magari anche un po’ brava, credo) perchè non ho mai fatto gavetta, sempre letteratura di livello e anche un po’ di nicchia, difficile da tradurre: il secondo libro tradotto in vita mia era finalista al Booker Prize, Frutto amaro di Achmat Dangor, di cui conservo ancora una copia autografata. A quel libro sono legata, perché mi ha fatto scoprire il Sudafrica: dopo la consegna, infatti, prenotai una vacanza laggiù. ma ogni libro, a modo suo, mi ha lasciato tanto: terapeutici, catartici, toccavano sempre temi in cui mi ritrovavo o che avevo vissuto, una specie di continua seduta dall’analista. Forse un po’ per questo ho avuto bisogno di allontanarmi un po’ dalla traduzione: una tregua emotiva, mi immedesimavo troppo nelle storie, e poi 365 giorni all’anno, non si stacca mai la spina. adesso vorrei continuare a tradurre comunque, anche solo un libro all’anno ma fatto bene, speriamo di riuscirci. Anche perché penso a tutti i miei libri come ad appassionati amanti di carta, ciascuno importante e indimenticabile a modo suo. Tradurre è iniziare ogni volta una nuova storia d’amore…»

“CHIAMAMI COL TUO NOME”: UN ONORE E UN COLPO DI FORTUNA

«A Chiamami col tuo nome sono arrivata per fortuna, nel senso che in teoria il libro l’avevano affidato a un’altra traduttrice che diceva di conoscere personalmente l’autore. Quando mi chiamò la redazione di Guanda per dirmi che pensavano di sottoporre anche a me la prova di traduzione, fu per me onestamente una grande soddisfazione. Anche perchè fino a quel momento non avevo mai tradotto per loro: solo revisioni, letture e correzioni di bozze. La mia prova fu accettata subito, e fu per me un immenso orgoglio. Aciman stesso inviò una mail alla redazione diretta a me: “dite alla traduttrice che grazie alla sua traduzione ho capito di avere scritto un libro bellissimo” (Aciman, che ha vissuto per anni in Egitto, conosce l’italiano e altre lingue mediterranee, ndr)

Tradurre lo scrittore, infatti, non è uno scherzo: «La difficoltà principale sta nel cogliere lo stile di Aciman, una prosa molto complessa, a tratti ripetitiva, che in inglese funziona benissimo ma in italiano no. E’ maestro nello scavare nel cuore e nella mente dei personaggi, che in fin dei conti fanno poco, non c’è azione, ma pensano e amano moltissimo; pagine e pagine a descrivere dubbi, inquietudini, pensieri, una specie di flusso di coscienza, che poi è quello che facciamo tutti quando abbiamo un pensiero che ci cruccia o ci manda al settimo cielo. Frasi molto lunghe e contorte, che pare un delitto modificare, anche perchè vorrebbe dire tradire l’autore, dunque non è semplice».

Il film l’ha visto, ma: «Confesso di essere andata al cinema solo perchè prevedevo questa domanda giovedì sera. Ma l’ho trovato noioso, e trovo che svilisca la storia di Aciman, di cui rimane ben poco». I particolari della motivazione, saranno sicuramente svelati nei particolari giovedì sera alla Ubik.

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 01 Febbraio 2018
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