La storia di rinascita di Roberto Andreoli dopo la morte del figlio
Dopo un grave lutto Roberto Andreoli ha iniziato una campagna per raccogliere fondi a favore della ricerca contro il neuroblastoma. Ecco la sua storia raccontata a Digitalife
“Le crisi e le avversità spesso diventano occasione di crescita interiore”. E’ ciò che si legge sul blog di Roberto Andreoli Ascolto il silenzio. Niente di più vero. E’ nei momenti più bui che si imparano tante cose. Su se stessi, sugli altri, sul mondo. E si cresce, non importa quanti siano gli anni sulle proprie spalle, si cresce anche se si è già grandi.
Classe 1977, Roberto Andreoli ha trentatré anni quando nel febbraio del 2010 suo figlio Pietro, di appena sei, vola via a causa di una malformazione artero-venosa alla base del cervelletto. Eventi simili interrompono la vita di chi li subisce e spesso è difficile non lasciarsi inghiottire dal dolore.
Roberto, però, trova la forza di rimettersi in gioco, di tornare a vivere. Tutto grazie a un paio di scarpe da running e a #Run106Pietro, un progetto di raccolta fondi a favore della ricerca contro il neuroblastoma. «Ho cominciato a correre con le classiche gare da 10 chilometri fino ad arrivare alla mia prima maratona. Poi, l’anno scorso, il deserto della Namibia dove ho corso per 106 chilometri.». Un’esperienza, quest’ultima, della quale Roberto parla anche durante la prima conferenza TEDxVarese dove, in qualità di speaker, racconta la sua storia.

Nel novembre del 2017 una nuova sfida: una ultramaratona di sei tappe nel deserto dell’Oman, per un totale di 165 chilometri. «Il deserto è diverso, ma lo scopo è lo stesso. Il mio obiettivo è raccogliere 100 euro per ogni chilometro percorso in mondo tale da arrivare a 16.500 euro», spiega Roberto sullo sfondo di dune sabbiose. Al suo fianco in questa avventura, il piccolo Pietro e le tante persone che sui social – e in particolare su Facebook – seguono e sostengono Roberto.
«Il digitale mi ha aiutato tantissimo», rivela, «non solo per i messaggi di incitamento che ho ricevuto e ricevo, ma anche perché ha mi ha permesso di pubblicizzare l’iniziativa dandole una risonanza non indifferente».
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